Storie del tempo che fu ....



Giochi del tempo che fu

Titolo

Un aiuto per San Bernardo delle Alpi

L’oratorio di San Bernardo ai Boschi è situato in bellissima posizione a quasi 800 metri d’altezza ed è l’unico della zona ad essere dedicato al Santo delle Alpi, assieme al conosciuto Santuario posto su una delle vette del Monte Rubello, nell’Oasi Zegna sopra Trivero in provincia di Biella.

Patrono di Valdilana e delle Alpi

L’iniziativa si lega ad un importante anniversario, il millenario dalla nascita di San Bernardo, che da un paio di anni è ufficialmente il patrono del nuovo comune di Valdilana, nato nel 2019 dalla fusione di Mosso, Soprana, Trivero e Valle Mosso.

In realtà il millenario della nascita cadeva nel 2020, ma causa pandemia sono state rinviate tutte le manifestazioni a riguardo. Su alcuni libri e sui calendari leggiamo “S. Bernardo da Mentone”, mentre su altre fonti troviamo “S. Bernardo da Aosta”. Sono la stessa persona. Il Mentone in oggetto non è la famosa cittadina della Costa Azzurra al confine con l’Italia, ma un piccolo comune turistico dell’Alta Savoia, sulla costa orientale del lago di Annecy, ancora oggi chiamato Menthon-Saint-Bernard. A far chiarezza su questo ci pensò Pio IX, al secolo Achille Ratti, il papa alpinista che nel 1923 elevò Bernardo all’onore degli altari con l’appellativo di “Santo delle Alpi”, patrono anche degli alpinisti e dei viaggiatori, e con l’indicazione di festeggiarlo il 15 giugno.

Le reliquie di Novara

Gli studi di un secolo fa lo fanno meritoriamente nascere da una nobile famiglia valdostana e avviato alla carriera ecclesiastica. Divenne poi un efficace predicatore, in continuo peregrinare sulle montagne, non solo valdostane, ma anche valsesiane e novaresi. Nell’iconografia ufficiale viene rappresentato con il diavolo incatenato ai suoi piedi e talvolta con il bastone o bordone da pellegrino, utile anche sui passi e ghiacciai alpini.

San Bernardo da Aosta muore a Novara nel 1081 e là venne sepolto il 15 giugno, giorno della sua festa. Le spoglie, venerate come reliquie, si trovano in un altare laterale del Duomo novarese. Chiaramente le sue tracce sono evidenti tra le montagne valdostane: l’ospizio al passo del Gran San Bernardo, a 2473 metri, è considerato il più alto monastero delle Alpi.

I Cammini di San Carlo e di San Bernardo

Anche l’Ospizio al passo del Sempione ha la stessa dedicazione e da quel punto parte il Cammino di San Bernardo d’Aosta, che dal Sempione in nove tappe raggiunge Novara. Questo itinerario storico e devozionale è stato ideato nel 2017 dall’associazione Amici di Santiago di Novara, che quest’anno celebrerà il millenario della nascita del santo, manifestazione forzatamente rinviata nel 2020. Il Cammino di San Bernardo incrocia a Orta il Cammino di San Carlo, ideato nel 2010, che da Arona raggiunge Oropa e poi prosegue verso Viverone per collegarsi con la Via Francigena. Grazie alla collaborazione tra le associazioni e le persone che promuovono questi cammini, gli amici di Novara verranno in pellegrinaggio anche alla chiesetta di San Bernardo ai Boschi, dove passa la sesta tappa del Cammino di San Carlo, che dal Santuario della Brughiera raggiunge Pettinengo.

Al di là delle Alpi

San Bernardo ai Boschi è anche lo scenario di una storia straordinaria, raccontata due anni fa nello spettacolo “Al di là delle Alpi” ideato da Flavia Grosso e realizzato dall’associazione Atelier di Ponzone Biellese. Federico Strobino, ufficiale dell’Esercito Regio di origine mossese, nel 1943 portò in salvo 400 ebrei attraverso le Alpi, partendo dalla vicina Francia. Alcuni di questi esuli troveranno proprio ai Boschi di Pistolesa il loro rifugio più sicuro e da quella storia vera è nata una bellissima vicenda di solidarietà e di amicizia.

Un impegnativo restauro

L’opera d’arte in corso di restauro e per la quale si chiede un aiuto è proprio una tela presente sopra l’altare ligneo della chiesetta dei Boschi, costruita nel 1825. La tela raffigura San Bernardo, con la veste bianca dei benedettini con il demonio alla catena e lo sguardo è rivolto verso apparizione della Madonna con il Bambino sulle ginocchia, seduta in una corona di nuvole e cherubini. A destra è raffigurato San Grato con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, con la mano destra benedicente e il pastorale alla sinistra.

La tela si trova attualmente nel laboratorio di restauro di Tiziana Carbonati, che ha già iniziato il lavoro sull’opera, piuttosto ammalorata, anche per una pesante ridipintura effettuata nel 1965. L’intervento è stato autorizzato dal MIC Sabap-No ed il funzionario dott. Andrea Quecchia segue i lavori. La restauratrice, ben conosciuta dalle nostre parti per i molti restauri eseguiti per conto del DocBi, sta lavorando in collaborazione con le restauratrici Sara Barchietto e Michela Lotterio. L’intento è quello di riportare alla luce un probabile dipinto originale, certamente più interessante, in quanto il quadro era con tutta probabilità già presente nella chiesa parrocchiale di Mosso, in seguito donato ai Boschi per arricchire quella nuova chiesa.

L’operazione di restauro è possibile grazie alla richiesta di contributo fatta alle fondazioni locali da don Carlo Rovagnati, parroco di Mosso, a nome degli abitanti e parrocchiani dei Boschi e di Pistolesa, che hanno a cuore la bella chiesetta di San Bernardo. La Fondazione CRB (Cassa di Risparmio di Biella) e la Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) hanno risposto positivamente, garantendo oltre la metà del necessario. Altri contributi sono arrivati grazie alle iniziative organizzate dall’associazione ricreativa Ai Boschi e in particolare per il prezioso impegno della signora Maura Bonaso. Purtroppo la sua prematura scomparsa non gli permetterà di vedere realizzato il suo sogno e - d’accordo con il marito Antonio e i figli - si è pensato di organizzare in suo ricordo una sottoscrizione via internet per completare il restauro. 

Chi vorrà partecipare, anche con una minima somma (bastano 5 euro), avrà la simbolica ricompensa di vedere il proprio nome sulla bacheca che verrà posta all’esterno dell’oratorio e di poter ritirare un omaggio floreale durante la manifestazione che verrà organizzata per la presentazione dell’opera. In totale serve una piccola somma, meno di duemila euro, ma vuole essere un significativo esempio di partecipazione collettiva a favore della bellezza dei nostri paesi.

aiuto per la Chiesetta ai Boschi di San Bernardo (Barnard)



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Grazie a Franco Grosso per la splendida ricerca effettuata il 23 novembre 2020:

Napoleone, conquistata mezza Italia, mandò i suoi migliori cartografi a rilevare in dettaglio i territori sottomessi, allo scopo di conoscere il valore economico di ognuno. Per questo, oltre alle borgate (hameau) e alle cascine (farme), nella bellissima carta si trovano contornati e indicati in francese tutte le diverse destinazioni d’uso del terreno. Troviamo il castagneto (chataigne…), il vigneto (vignes), il pascolo (paturage) e il prato (pre). Indicati pure le terre arabili, quelle incolte e i boschi da legno (bois).














Boschi e Garbaccio =  'Nti Busch e Garbasc

Una storia dl tempo che Fu con  Renzo Garbaccio
questo è il mio amico di adesso e di gioventù .... quanti ricordi ..... passava a trovarmi con il suo asinello "Nino" prima di salire alla cascina del padre un po' più avanti ... e ci fermavamo a giocare anche un po' a pallone. Un giorno l'asinello era scappato e non lo trovavamo più .... cerca cerca ... finalmente lo ritroviamo ... lo riprende e va a casa del padre...... Il giorno dopo apriti cielo il padre lo sgrida tantissimo ne aveva combinata una grossa. Cosa era successo l'asinello era scappato era andato in un campo vicino fuori, dalla nostra vista, dove c'erano dei bellissimi cavoli piantati pronti per essere mangiati ..... però se li pappò tutti l'asinello NINO ... quando il padrone "Marchetto" se ne accorse avvisò il padre e apriti cielo ... dovette pagargli tutti i cavoli mangiati ..... Quando  ci incontriamo ce la raccontiamo tutte le volte e non finiamo mai di ridire .... che ricordi .... purtroppo il tempo passa inesorabile, ma noi abbiamo avuto la fortuna di andare a cavalo di un asino o di un mulo ...... e forse, ma sarà dura .... avere nel baule della macchina un robottino o un asinello meccanico, .... ma sicuramente non sarà la stessa cosa ...... le cacche dell'asinello o e dei muli fanno crescere dei bei pomodori e dell'ottima insalata..... Buona serata camminatori .... e scusate la mia chiacchirata !!!!!


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il VASCAPUN = mantello vegetale usato dai pastori di pianura, che però d'estate salgono in montagna.

Visualizza il filmato da 2 ore e 10 minuti in poi.


https://www.raiplay.it/video/2020/09/Geo-1be48851-a1d9-4457-93bd-f488ade068ca.html

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Il telefono con disco combinatore ed i ragazzi di oggi -

1 maggio 2020 - con Festa del 1 Maggio in casa


al di là delle alpi - Yabriska / Mario

https://www.facebook.com/atelier.laboratoriodellebuoneidee/videos/583915015486686/


Le Castagne - Castgne - Novembre 2019

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I Marghè - Allevatori di mucche in  montagna, mia madre Garbaccio Laura classe 1909 con suo padre Giuseppe e tutta la famiglia, facevano questa vista all'Alpe della "Gnargnega" Artiniaga dopo il Bocchetto Sessera ed in inverno facevano la trasumanza in Pianura a Vigliano Biellese.

Clicca sulla scritta per vedere una bel filmato che racconta questa vita. 


Alluvione nel biellese (2-11-1968) raccontata dal Prof.Sella Ciaffrei Mario Sindaco di Mosso S. Maria in quel momento.

Klicca su questa scritta per vedere il video della visita a Vallemosso del Presidente Mattarella

Fu mio Preside e professore alle scuole superiori di Mosso, allora si chiamavano: Avviamento 3 anni e poi Scuole Tecniche per due anni.

MATTEO PRIA
VALLEMOSSO 10-11-2018
2-11-1968 

Cinquant'anni fa il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat arrivò con l'elicottero a Vallemosso per rendersi conto di persona del disastro avvenuto dopo l'alluvione e per testimoniare la vicinanza dello Stato. Oggi sarà il turno di Sergio Mattarella salire nella valle dello Strona, per dire ancora una volta che lo Stato c'è. 
Troverà un territorio che ha saputo convivere con l'acqua investendo in sicurezza lungo il torrente e scoprirà un'area che continua a essere un punto di riferimento del tessile e dell'economia italiana. E' questo il messaggio che gli amministratori porteranno all'attenzione del Capo dello Stato. Nonostante i 58 morti, le case distrutte e centinaia di posti di lavoro persi con l'alluvione del 1968, la vallata ha saputo risollevarsi e rilanciarsi. La presenza di un'alta carica dello Stato era stata chiesta dal presidente dell'Unione montana Carlo Grosso mesi fa, durante la presentazione degli eventi per celebrare i 50 anni dalla tragedia. Aveva trovato l'appoggio della Prefettura, che si è fatta portavoce del messaggio per accendere i riflettori sulla valle di Mosso. 
Oggi a fare gli onori di casa ci sarà il sindaco di Vallemosso Cristina Sasso, che parlerà nel padiglione in piazza Alpini. «Il paese da allora è ripartito, ma l’alluvione ha segnato per anni il territorio. Non a caso il nostro piano regolatore ci ha messo decenni prima di essere approvato con notevoli restrizioni. Sono stati spesi milioni di euro lungo lo Strona per la sua messa in sicurezza, ma in valle abbiamo ancora le più importanti realtà imprenditoriali italiane del tessile». Prevista anche la presenza di Paolo Botto Poala, industriale testimone del disastro dell'alluvione. 

IL PROGRAMMA  
Mattarella giungerà a Cerrione con l'aereo presidenziale per dirigersi con la scorta a Vallemosso. Nessuna strada verrà chiusa, anche se sono state adottate tutte le misure di sicurezza del caso. Il programma è definito: omaggio al monumento dedicato ai morti dell'alluvione a Campore, incontro con la popolazione a Vallemosso, visita privata alla mostra della Romanina e infine esercitazione di Protezione civile sul torrente Poala. Sergio Mattarella incontrerà anche alcuni protagonisti dell'alluvione di 50 anni fa. Sicuramente il fotografo Sergio Fighera, che ha testimoniato con le sue immagini la tragedia, poi i familiari dei cittadini di Vallemosso che ricevettero la medaglia al valor civile. Il presidente incontrerà anche Giuseppe Cossu, carabiniere di 81 anni in servizio all'epoca a Vallemosso, Ci saranno anche due bambine di quei tempi: Dorina Cerri, che venne portata in salvo dal carabiniere Agostino Bova (deceduto da pochi mesi), e Lorella Nofri, che il 7 novembre 1968 salì sull'elicottero presidenziale per essere portata all’ospedale «Regina Margherita» di Torino ed essere curata. 

Marco Sella Ciaffrey  Suo padre era il Preside delle Scuole Superiori di Mosso che io frequentavo
Nell'occasione del cinquantenario dell'alluvione voglio pubblicare l'intervento che mio padre, sindaco di Mosso S. Maria in quei tristi giorni, preparò in occasione del trentennale. E' molto dettagliato e sono certo che molti di voi ricorderanno gli avvenimenti e le persone citate.
2 Novembre 1968 il sindaco di Mosso S. Maria ricorda
Sono trascorsi trenta anni da quel tragico 2 novembre 1968 ma alla mente si affollano i ricordi relativi all’alluvione che colpì Mosso Santa Maria.
Nel periodo in cui ero sindaco in mattinata e nel pomeriggio caddero le prime frane ed io, che ero sceso a Biella per assolvere ai miei doveri di ufficio, fui costretto a provare diversi itinerari prima di individuare quello che mi portò a Mosso
Nel pomeriggio il cielo era di un livido colore verde e sembrava che tutti i temporali autunnali si fossero dati convegno nella valle.
Alle 18 era già buio pesto ed avendo inteso un forte boato vidi che era franato il prato davanti casa mia nell’intersezione con la strada di Oretto e l’acqua che scendeva da tale strada, con una cascata ricadeva in Via Quintino Sella formando un impetuoso torrente diretto verso la Chiesa ed il Municipio. L’energia elettrica, a causa delle numerose frane, cessò e in quasi tutte le case vennero accesi i lumini acquistati per adornare le tombe in occasione della processione al cimitero prevista per il giorno successivo.
Io avrei voluto raggiungere il Municipio ma non possedendo stivali ed avendo a disposizione soltanto una pila di tipo lucciola che illuminava si e no un metro davanti a me, decisi di attendere un miglioramento del tempo. Verso sera si verificò un rallentamento nella caduta della pioggia, tentai di scendere in comune, ma dopo pochi passi mi sentii afferrare per il collo. Era un filo dell’illuminazione pubblica che si era staccato dal palo. Ritornai quindi in casa e decisi di attendere le prime luci dell’alba.
L’indomani scesi in piazza dove incontrai il Comandante della Stazione dei Carabinieri Brigadiere Mattia e tentammo di comunicare al mondo quanto era successo nella Valle con un piccolo trasmettitore a pile prestato da un radioamatore. Riuscimmo a collegarci con una persona residente a Voghera pregandola di comunicare ai Carabinieri della sua città quanto si era verificato nella nostra zona. La persona, temendo trattarsi di uno scherzo era molto perplessa e non promise nulla. Fummo costretti a interrompere il collegamento in quanto le pile si erano esaurite. Cambiate le pile riuscimmo finalmente a comunicare con Biella che immediatamente predispose i primi interventi.
Nel 1968 non esisteva il servizio di protezione civile e molte soluzioni attuate a Biella furono successivamente utilizzate su scala nazionale per organizzarlo.
Incominciarono ad affluire i primi soccorsi con offerte della popolazione locale e dal comune di Biella, a mezzo di un elicottero che atterrava su un prato di fronte al Lanificio Ormezzano, e con l’aiuto di validi collaboratori organizzammo un primo sistema di pronto intervento, Il Brigadiere Mattia ed il vice-sindaco Sig. Mario Bedotto con alcuni volontari e con l’aiuto della ditta Strobino provvidero al ricupero delle salme delle povere vittime ed alla loro sistemazione nelle bare ed, in mancanza di ruspe, utilizzando le pale riuscirono a creare dei varchi a fianco delle numerose frane per consentire il passaggio almeno ai pedoni e per facilitare il trasporto delle bare. Utilizzando l’elicottero furono trasportati in ospedale oppure a Mosso i feriti per prestar loro le prime cure. Per provvedere alla sistemazione degli sfollati furono invitati i cittadini a mettere a disposizione gli alloggi o le camere vuote segnalandoli alla segreteria del comune o al Vice-parroco Don Barbera.
Per facilitare i controlli e rendere più razionale l’opera di assistenza e di aiuto alla popolazione chiesi ed ottenni la collaborazione di numerose persone e mi scuso se non potrò ricordarle tutte. Anche il giornale La Stampa inviò un consistente contributo in denaro per poter assistere i danneggiati. Nelle ore serali formammo un gruppo di lavoro composto dal Vice-sindaco, dal Vicario Don Adriano Motta, dall’Ufficiale sanitario Dr. Franco Cassardo, dal Brigadiere Mattia, dal Segretario comunale Rag. Raffaele Correale e da alcuni Consiglieri comunali e, sotto la mia presidenza stabilimmo i criteri da seguire nella concessione dei sussidi ai cittadini danneggiati sia direttamente che indirettamente dall’alluvione. In base a tali criteri, con l’aiuto degli impiegati comunali furono predisposti gli elenchi delle famiglie da assistere.
Il pagamento dei sussidi in denaro fu affidato al Giudice Conciliatore Sig. Leanza che assolse con molto scrupolo e precisione alle sue mansioni.
La consegna dei pacchi viveri fu, invece, affidata a un gruppo di Signore e Signorine coordinato dalla Prof.ssa Emilia Bertola e funzionante nella sala del Consiglio Comunale. Per venire incontro alle necessità delle persone anziane o impossibilitate a muoversi i Consiglieri Comunali Sig. Mario Grosso e Sig. Pio Garbaccio Valina provvidero a recapitare i pacchi a domicilio.
La gestione dell’altro materiale (pale, stivali, coperte, tubi per l’acqua, ecc.) custodito in Municipio fu, invece, affidata al Vice-sindaco con la collaborazione del Sig. Adriano Tonso e del Sig. Ilio Grosso.
Io, dopo aver organizzato il lavoro di primo intervento fui costretto a rimanere in ufficio dove con la valida collaborazione del Rag. Correale tentai di risolvere i numerosi problemi presentati da un flusso continuo di persone.
Per risollevare il morale della popolazione fu ripristinato il vecchio forno a legna della Cooperativa e nella notte fu impastato il pane alla luce dei fari di una macchina e successivamente infornato ottenendo un ottimo prodotto ed anche da qualche comune vicino vennero ad acquistare il pane a Mosso.
Intanto la Prefettura di Vercelli assegnò i fondi per il pronto intervento e gli uffici del Genio Civile incaricarono alcune ditte di effettuare i lavori necessari per ripristinare la viabilità. Sulle strade principali vi era una frana in media ogni dieci metri e l’unica strada rimasta indenne era quella che passando da Borgata Ormezzano scendeva a Vallemosso. Anche i ponti erano tutti fuori uso ed il Genio Militare gettò un ponte fra Mosso e Crocemosso. Nel mio ufficio vi era sempre qualcuno che aveva dei problemi da presentare, e quando vennero a Mosso il Prefetto o il Colonnello comandante i Carabinieri della provincia, fummo costretti a spostarci nel locale antigabinetto per poter parlare liberamente di problemi riservati. Un momento difficile da superare si ebbe quando le Autorità Superiori messe in allarme dai geologi stabilirono che il vicino Comune di Pistolesa era gravemente in pericolo perché erano possibili altre frane e ne ordinarono l’evacuazione. Per predisporla in gran segreto io, il Segretario comunale ed i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri ci riunimmo a tarda sera in un bar di Mosso. Tenuto conto del fatto che parecchi abitanti di Pistolesa già si erano sistemati presso parenti o nei locali messi a disposizione dai Mossesi, si ritenne opportuno chiedere l’autorizzazione a occupare i locali in località Frieri di proprietà di un ente di Vercelli (forse l’ECA) che li utilizzava soltanto durante l’estate per le colonie estive dei bambini, autorizzazione che fu concessa. Per rendere possibile l’evacuazione e per garantire la popolazione sfollata contro i casi di sciacallaggio, l’Arma dei Carabinieri mise a disposizione una cinquantina di Militi che in un primo tempo aiutarono gli abitanti a sfollare e successivamente furono adibiti al controllo delle case rimaste vuote. I militari dell’Arma durante i periodi di riposo furono ospitati nei locali predisposti dal comune di Mosso per l’inizio dell’attività dell’Istituto Tecnico, locali in parte adibiti anche per accogliere gli sfollati di Pistolesa.
La palestra delle Scuole Elementari fu, invece, utilizzata per ospitare i militari dei Cavalleggeri di Lodi comandati dal Capitano Arrigoni accorsi da Lenta per aiutare le popolazioni di Vallemosso e di Pistolesa a sgomberare le case pericolanti e per rimuovere le macerie.
Molti ricordi mi ritornano alla mente, ma uno mi è rimasto impresso e riguarda l’intervento che mi fu richiesto dai Salumifici di proprietà dei Signori Bocchio e Sella per salvare ottanta quintali di carne in lavorazione. Per risolvere il problema il Lanificio Ormezzano mise a disposizione un generatore di energia elettrica da loro utilizzato in tempo di guerra e dal Centro di soccorso di Biella ci fu inviato un notevole quantitativo di cavo elettrico che l’elettricista sig. Piero Fila Robattino con l’aiuto di alcuni volontari utilizzò per collegare il generatore ai salumifici. Nei momenti di pausa l’energia fu utilizzata per il forno del pane. Passato il primo periodo di crisi venne a Biella il Presidente del Consiglio On. Leone che alla presenza delle principali autorità provinciali e locali convocò i Sindaci dei comuni alluvionati presso il Municipio di Biella per un primo esame della situazione e per predisporre in concreto un piano per risolvere il grave problema dell’industria tessile i cui stabilimenti erano stati distrutti dall’impeto delle acque o erano stati invasi dal fango e dalla melma rendendo inservibili i macchinari e per ricostruire le fognature, i ponti, le strade e gli edifici danneggiati.
Non appena ripristinata la viabilità ordinaria il Presidente della Repubblica On. Saragat accompagnato dall’On. Scalfaro e dal Prefetto di Vercelli visitò le zone alluvionate per rendersi conto personalmente della situazione e per avere un contatto diretto con le popolazioni.
Per poter intervenire rapidamente nell’opera di ripristino dei beni danneggiati i Sindaci dei comuni alluvionati chiesero al Provveditorato Generale delle Opere pubbliche per il Piemonte l’autorizzazione a far preparare da tecnici di fiducia i necessari progetti da cedere poi al Genio Civile che, in caso contrario, non avrebbe avuto la possibilità di provvedere direttamente per mancanza di personale. Fu altresì richiesta l’autorizzazione a preparare i Piani di ricostruzione. Entrambe le autorizzazioni furono concesse facendo notevolmente ridurre i tempi di attesa prima dell’inizio dei lavori.
Il ricordo che maggiormente mi è rimasto impresso è la presenza di uno spirito di solidarietà da parte di tutta la popolazione che ha consentito di superare lo sconforto dovuto all’immensità ed alla gravità dei danni sofferti.
Un particolare ringraziamento rivolgo ancora alla Regione Autonoma della Valle di Aosta che mandò una piccola ma molto efficiente squadra attrezzata per aiutarci a rendere agibile una strada disastrata da noi scelta. Ringrazio ancora la Società Dalmine che donò al comune un camion di tubi per riparare o sostituire i tubi dell’acquedotto e le Acciaierie di Bolzano per l’utilissima motosega donata.
Un grazie sentito rivolgo al Giornale La Stampa che grazie a Specchio dei tempi intervenne immediatamente con un cospicuo aiuto.
Ringrazio a nome di tutta la cittadinanza il Comitato per i soccorsi di Biella sempre pronto a concederci quanto richiesto.
Un grazie sentito anche agli studenti ed a tutti coloro che hanno aiutato a spalare per rendere più agibili le strade o per eliminare il fango che aveva invaso gli stabilimenti e le case. E che hanno collaborato con il Sig. Boccalatte e gli altri idraulici per ripristinare o riparare le condutture dell’acqua potabile.
Un ricordo particolare per il Sig. Prefetto di Vercelli che con nobile gesto è salito nel Natale successivo per ringraziarci e per porgere fervidi auguri ricambiati da noi con cuore. Grazie anche alla Famija Piemunteisa che è venuta con Gianduia a farci visita per incoraggiarci a ben continuare.
Concludo con un grande elogio alla popolazione di Mosso ed a tutte le autorità civili, religiose e militari che con abnegazione e spirito di sacrificio collaborarono con me durante l’alluvione e successivamente.
Mario Sella Ciaffrei
Silvano Strobino Sono stato anch'io allievo di suo Padre Sella Ciaffrei Mario, quello che descrive è proprio così, sembra di rivivere quei momenti. io in quel periodo lavoravo al Lanificio Ormezzano e ricordo come ieri la linea elettrica stesa in un batter d'occhio per collegare il forno, per fare il pane e i due salumifici.

Silvano Strobino Poche parole e come dicono i Biellesi " date da fè e boggia" Ero abitante di Gianolio e fui "sfollato" per pochi giorni da parenti in quel di Mosso. Da qualche parte conservo ancora la tessera/lasciapassare, che ci permetteva di accedere, durante il giorno, alle ns case per recuperare le ns. cose di prima necessità.


Fummo fatti sfollare dal Comune dj Pistolesa, in quanto gli elicotteri sorvolando la zona, gli operatori avevano visto delle enormi crepe sul terreno e sembrava che dovesse cedere molta parte della montagna.
In realtà quelle “crepe” erano i sentieri di montagna che salivano verso la cascina Crolle.

Oreste Strobino, ns vicino di casa, cugino primo di mio padre Savio Strobino0, non abbandonò mai la sua casa, (attuale casa ai Boschi); dicendo sono ; "tutte balle, io non lascio la mia casa, è stata costruita da mio padre, .... l’ha costruita su un costone roccioso e non verrà mai giù".
In realtà la casa è costruita sulla roccia e se vai dietro casa vedi tutte le rocce che sporgono dal terreno e che sono ben ancorate. 

Purtroppo frammiste alla roccia ci sono anche terra e sassi di grandezza media, che continuano a distaccarsi. Servirebbe un bel muro di contenimento.

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Il gioco dell'orso, antico gioco praticato a Rosazza.

https://www.youtube.com/watch?v=HUqWlIpYDR0

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Impalmatura di un cavo di acciaio, mio padre lo sapeva fare ed alcune volte lo aiutai, lavoro antico o forse anche moderno

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Leggendo “Il canto delle manére”  Di Mauro Corona, mi sono venuti in mente i seguenti ricordi :Storia delle Coulisse.…… durante le vacanze di Natale, con delle temperature gelide verso le ore 9,00 del mattino andavo a piedi, mi ricordo al torrente Poala, ora sopra ci passa il viadotto Colossus, ma in fondo vicino alla frazione Caudana c’è il ponte vecchio molto piccolo e li avanti sulla destra guardando la montagna avevamo ed abbiamo un bosco di faggi e castagni e mio padre “faceva il bosco” per vendere la legna e per utilizzarla anche noi, lavora con suo fratello Giuseppe (Pipin), papà di Piero Strobino.Quindi andavo da mio padre passando per un sentiero alto che partiva dai Boschi ed arrivava sul quel terreno sopra al torrente Poala, i suoi confini arrivanavo fino a lembire il torrente.Loro erano già diverse ore che lavoravano ed avevano iniziato ad esaurire le “coulisse” che era finite in fondo al tratto della teleferica utilizzate per far “scorrere” fasci di legna.Salutavo mio padre, mi dava un sacchetto di tela juta molto pesante ed iniziavo la discesa verso il fondo valle dove terminava la teleferica.Attraversavo il torrente Poala, ghiacciato facendo attenzione di non cadere e di non bagnarmi i piedi, saltellavo sul alcuni sassi apposta messi ed utilizzati per facilitare il passaggio.Arrivano da mio zio Pepin e lo salutavo e lui mi diceva di aspettare un momento che mi avrebbe messo nel sacchetto di tela juta le coulisse.Io avevo circa 12/13 anni e mi chiedeva quante era in grado di portarne io dicevo, ma 13/14, ma a volte riuscivo a portarne anche 16 e mi sentivo tutto orgoglioso. (una coulisse pesa circa 500/800 gr)Mi caricavo il sacchetto su una spalla che pesava circa 12/15 kg e risalivo a monte dove partiva la teleferica impiegando circa un ora di cammino.Se ero bravo nella mattinata facevo anche due o tre giri, dopo di che arrivava mezzogiorno e si faceva una pausa mangiando con mio padre un pasto fugace e molte volte a base di pane ed acciughe imbevute nell’olio e messe in mezzo al panino.Se faceva molto freddo mio padre accendeva un piccolo fuoco per riscaldarci e se ne aveva il tempo si appisolava per 5 minuti vicino ad esso. Io nel frattempo andavo a fare un  giro sulle sponde del torrente Poala a controllare se vedevo qualche trota stando molto attendo di non scivolare e di non cadere dentro a qualche “lama” (pozza di acqua abbastanza grande e profonda).Quando le coluisse arrivavano in fondo alla teleferica “battuta” si doveva fare attenzione nel prenderle, mai per la testa ,in quanto scottavano per la lunga frizione che avevano avuto correndo lungo il filo della teleferica.La battuta era costituita da 4 pali di castagno incrociati a cavalletto ed interrati a terra in un buco profondo almeno un metro. Dietro c’era un “turnin” che era un tronco di albero rinforzato con lamelle di legno in modo che seccando non si aprisse. Il turnin serviva a tendere il filo della teleferica passando il cavo attorno ad esso e facendolo girare con delle barre di legno lunghe almeno due metri che venivano fatte passare in appositi fori quadrati fatti alle estremità del turnin; erano 4 per ogni lato e messi in modo sfalsati.Tirare il filo della teleferica era un lavoro pericoloso e io se li aiutavo dove stare a debita distanza.Con le barre infilate nei fori facevano girare il turnin di un quarto di giro alla volta e quando il cavo era teso si fermvano ed io inserivo di traverso alle barre un pezzo di legno che adagiandosi contro i pali interrrati evitava al turnin di girare indietro e di mantenere il filo della teleferica teso.C’è da dire che prima di tendere il filo della teleferica infilavo nel cavo una gomma di autocarro in modo che i fasci di legna di legna agganciati alle coulise quando arrivavano in fondo alla “battuta” attutissero il colpo; mettevano anche una catasta di legni agganciata con delle corde metalliche in modo da aiutare l’urto.Si doveva restare a debita distanza perché a volte succedeva che nell’urto volassero pezzi di legno in ogni parte e se di prendevano erano dolori.Per fare pausa o riprendere il lavoro c’erano dei segnali che si ottenevano battendo il filo della teleferica che correva lungo il cavo.Due colpi abbiamo finito di lavorare ed andiamo a casa e chi riceveva il segnale rispondeva allo stesso modo con due colpi; questo perché a volte la partenza e l’arrivo erano molto distanti, magari km e a voce non ci si poteva sentire.Con il passare degli anni i due fratelli si erano organizzati diversamente e io non andavo più a portare le coulisse, ma iniziavo ad aiutarli a “fare legna” ed iniziavano a lasciarmi  a sramare gli alberi e a segarli in pezzi lunghi circa 80 cm. Utilizzando lo “strabicun (sega ad arco) e la fauscetta (roncola da boscaiolo) stando attendo a non tagliarmi. (questa è un’altra storia che alla prima occasione racconterò).Provavo a tagliare qualche albero con la “sciu” (ascia con il manico lungo). E’ molto difficile tagliare un albero con la scure, se non sei abituato tagli si la pianta, ma il taglio è tutto a scalini.Loro, i fratelli, lasciavano il “scucc” (il ciocco che rimane una volta che hai tagliato l’albero) liscio e rasato come se lo avessero segato.Non ho mai capito perché non utilizzavano la sega per tagliare le piante, ma dicevano che non si poteva perché le piante non sarebbero ricresciute bene e forti.Con l’avvento delle motoseghe tutto questo è terminato ed il rumore del tic toc del taglio con la scure nei boschi non si sente più.Ricordo mio padre quando acquistò la prima motosega, una McCulloch, cose da fantascienza, (bellissima gialla) oltre che per il prezzo che l’aveva pagata, il lavoro che poteva fare, aveva un  peso enorme (rispetto alle attuali) e mio padre a volte me la lasciava provare con dei tagli facili, ma avevo ornai già sui 17/18 anni.
Torniamo alle coulisse
.Mio padre aveva costruito un argano a mano (che conservo ancora nella casa ai Boschi) con un verricello di legno montato su un semplice cavalletto pieghevole facilmente trasportabile a spalla. Sul “rocchetto” dell’argano era avvolta una cordina di acciaio da 3 - 4 mm abbastanza file e lunga sicuramente  3 – 4 Km. Si portavano l’attrezzatura alla partenza della teleferica e quando le coulisse erano finite calavano lungo il filo della teleferica un carrello di legno con le ruote rotonde che veniva fatto scendere a valle frenandolo con un semplice freno costituito da un ferro flessibile stretto con una leva di legno al verricello.Il carrello quando raggiungeva la stazione di valle il fratello batteva un colpo sul filo della teleferica e quello era il segnale che il carrello era arrivato in fondo e che lo stava caricando. Finito di caricarlo, altro colpo al filo, segnale che era pronto e si poteva iniziare a farlo salire. Caricavano 4 volte quello che io portavo a spalla circa 50 coulisse, più tutte le corde di acciaio che servivano a legare i fasci di legna. Per farlo salire si iniziava ad avvolgere il cavo al rocchetto facendolo girare con due manovelle a mano con una bella fatica e facendo attenzione di avvolgere bene il cavetto di acciaio senza mai ingarbugliarlo.Questo sistema aveva il vantaggio che si faceva prima a recuperare le coulisse e se ne portava molte di più. Ci si metteva 30/40 minuti per fare un percorso che a piedi ci avresti messo due ore; lo svantaggio era che non potevi utilizzare la teleferica per far scendere fasci di legna e chi stava a valle restava inoperoso attendendo che il carrello avesse raggiunto la stazione di partenza per il riprendere il ciclo dei fasci di legna e delle coulisse di vai e vieni.Chi era a valle non restava proprio inoperoso perché doveva sistemare tutta la legna che era scesa accatastandola molto bene in attesa che arrivasse un camion per poterla caricare e portarla a casa oppure venderla.Scritto da Silvano Strobino il 20 aprile 2016.


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STORIA DEL LETAME - anni 1953/1955 - Silvano aveva 7/9 anni.
A partire dal mese di novembre uno dei lavori che mio nonno svolgeva era quello di spandere il letame delle sue mucche sul prato. Tutto il letame veniva accastato in un grande mucchio non molto distante dalla stalla e vicino al luogo dell’utilizzo, all’inizio del prato a monte; tutto calcolato per fare la minor fatica possibile.
Dalla stalla veniva levato almeno una volta al giorno e al suo posto ci si mettevano tantissime foglie di castagno che venivano fatte affluire nella stalla attraverso un piccolo foro quadrato dal fienile e messe a fare “da letto” alle mucche.
Il letame era quindi non liquido e schifoso, ma ben amalgamato con le foglie. Veniva caricato su una carriola di legno, tutta di legno anche la ruota, con una forca metallica a 4 denti. Il letamaio (mugia dal liam) era anche questo organizzato per strati mettendo da un lato quello recente mentre dall’altro lato c’era il più vecchio.
Quando ritornavo da scuola o se ero in vacanza, mio nonno di diceva se avevo voglia di andare a zappare un po’ di letame che lui provvedeva a portarlo via.
Si zappava il letame che aveva come minimo un anno di stagionatura e quindi già bello friabile pieno di foglie e vermi che correvano in tutte le direzioni, ma non puzzava per niente anzi sembrava quasi terra naturale, se ne attaccava un po sotto agli scarponi, che divenivano simili a zavorre. Si utilizzava una zappa apposita fatta da un lato a triangolo e dall’altro finiva con una forcella a “U” che veniva utilizzata a volte per rompere le zolle troppo grosse. Si prendeva poi la forca metallica a 4 denti e si tritava il letame zappato per fare delle zolle abbastanza piccole. Vicino al posto di zappatura si sistemava un sostegno apposito (crava) ; una specie di treppiede con un asse orizzontale sul quale si sistemava la gerla di legno (cistun) dove veniva caricato.
Mio nonno continuava ad andare avanti ed indietro per il prato a portare “cistun” di letame che avranno avuto un peso di circa 40 kg.; ne faceva tantissime mucchi alla distanza calcolata in modo che il suo contenuto coprisse un’area precisa e che si riprendesse con la successiva.
Prima di spanderlo lo tritava ancora con il tridente per rendere le zolle belle piccole ed uniformi.
Il mio dispiacere più grande era poi questo. Su questo bellissimo prato abbastanza in discesa ci andavo anche a sciare ed all’inizio se la neve era poca, esso fuoriusciva e me ne rammaricavo molto, in quanto mi si attaccava sotto agli sci e non potevo fare delle belle discese, non si disponeva di molta sciolina.
Prima che iniziasse la primavera, si provvedeva poi a rastrellare tutto il prato e a togliere gli eventuali residui di foglie ed altro.
L’erba cresceva che era uno spettacolo, pulita con tante belle margherite, ranuncoli e fiori vari.
Guai nei mesi successivi, aprile, maggio, andare in mezzo al prato a pestare l’erba sarebbero venuti giù i fulmini dal cielo, da parte di mio nonno, ma il motivo era molto semplice perché se l’erba era pestata e coricata era molto difficile tagliarla con la falce a mano.
Che prati e che cura, il prato era forse più pulito del cortile e tenuto in modo ottimale perché era il luogo dove cresceva tutta l’erba ed il successivo fieno da dare da mangiare alle mucche e riprendere così il ciclo del “letame”.

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Il discorso di Capo Seattle 12/01/11 20:36
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Il Manifesto dei Diritti della Terra
Gli indiani d’America, vivevano riuniti in tribù lungo i fiumi e i laghi: erano spesso
nomadi e dediti alla caccia e alla pesca. Ebbero i primi contatti con gli Europei dopo che
iniziarono le migrazioni di inglesi nel continente americano. A poco a poco il numero dei
bianchi aumentò sempre più costringendoli a ritirarsi in zone sempre più ristrette, per i
massacri che subivano ad opera degli invasori, fino ad essere confinati nelle riserve. Ma
questo non impedì all'uomo bianco di continuare a sterminarli fino alla quasi estinzione.
Difatti attualmente i nativi d' America sono circa 500 mila.
Questa lettera fu scritta dal capo dei Pellirossa Capriolo Zoppo nel 1854 al
Presidente degli Stati Uniti Franklin Pirce.
Il documento qui integralmente riprodotto è senz’altro una delle più elevate espressioni
di sintonia dell’uomo col creato ed esprime la ricchezza universale dei “popoli nativi”,
dei veri “indigeni” di ogni luogo della terra ed è la risposta che il Capo Tribù di
Duwamish inviò al Presidente degli Stati Uniti che chiedeva di acquistare la terra dei
Pellerossa.
Il grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra
terra. Il grande Capo ci manda anche espressioni di amicizia e di buona volontà. Ciò è
gentile da parte sua, poiché sappiamo che egli ha bisogno della nostra amicizia in
contraccambio. Ma noi consideriamo questa offerta, perché sappiamo che se non
venderemo, l’uomo bianco potrebbe venire con i fucili a prendere la nostra terra. Quello
che dice il Capo Seattle, il grande Capo di Washington può considerarlo sicuro, come i
nostri fratelli bianchi possono considerare sicuro il ritorno delle stagioni.
Le mie parole sono come le stelle e non tramontano. Ma come potete comprare
o vendere il cielo, il colore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo
proprietari della freschezza dell’aria o dello scintillio dell’acqua: come potete comprarli
da noi?
Il discorso di Capo Seattle 12/01/11 20:36
http://www.mistic.it/storiediconfine/discorso_di_capo_seattle.htm Pagina 2 di 4
Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago scintillante di pino,
ogni spiaggia sabbiosa, ogni goccia di rugiada nei boschi oscuri, ogni insetto ronzante è
sacro nella memoria e nella esperienza del mio popolo. La linfa che circola negli alberi
porta le memorie dell’uomo rosso. I morti dell’uomo bianco dimenticano il paese della
loro nascita quando vanno a camminare tra le stelle. Noi siamo parte della terra ed essa
è parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli. Il cervo, il cavallo e l’aquila sono
nostri fratelli. Le creste rocciose, le essenze dei prati, il calore del corpo dei cavalli e
l’uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia.
Perciò. Quando il grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole
comprare la nostra terra, ci chiede molto. Egli ci manda a dire che ci riserverà un posto
dove potremo vivere comodamente per conto nostro. Egli sarà nostro padre e noi
saremo i suoi figli. Quindi noi considereremo la Vostra offerta di acquisto. Ma non sarà
facile perché questa terra per noi è sacra. L’acqua scintillante che scorre nei torrenti e
nei fiumi non è soltanto acqua ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi vi vendiamo la
terra, voi dovete ricordare che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri figli che essa è
sacra e che ogni tremolante riflesso nell’acqua limpida del lago parla di eventi e di
ricordi, nella vita del mio popolo.
Il mormorio dell’acqua è la voce del padre, di mio padre. I fiumi sono i nostri
fratelli ed essi saziano la nostra sete. I fiumi portano le nostre canoe e nutrono i nostri
figli. Se vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi
sono i nostri fratelli ed anche i vostri e dovete perciò usare con i fiumi la gentilezza che
userete con un fratello.
L’uomo rosso si è sempre ritirato davanti all’avanzata dell’uomo bianco, come la
rugiada sulle montagne si ritira davanti al sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri
sono sacre.
Le loro tombe sono terreno sacro e così queste colline e questi alberi. Questa
porzione di terra è consacrata, per noi. Noi sappiamo che l’uomo bianco non capisce i
nostri pensieri. Una porzione della terra è la stessa per lui come un’altra, perché egli è
uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra qualunque cosa gli serve. La
terra non è suo fratello, ma suo nemico e quando la ha conquistata, egli si sposta,
lascia le tombe dei suoi padri dietro di lui e non se ne cura. Le tombe dei suoi padri e i
diritti dei suoi figli vengono dimenticati. Egli tratta sua madre, la terra e suo fratello, il
cielo, come cose che possono essere comprate, sfruttate e vendute, come fossero
pecore o perline colorate.
IL suo appetito divorerà la terra e lascerà dietro solo un deserto.
Non so, i nostri pensieri sono differenti dai vostri pensieri. La vista delle vostre
città ferisce gli occhi dell’uomo rosso. Ma forse ciò avviene perché l’uomo rosso è un
selvaggio e non capisce.
Non c’è alcun posto quieto nelle città dell’uomo bianco. Alcun posto in cui
sentire lo stormire di foglie in primavera o il ronzio delle ali degli insetti. Ma forse io
sono un selvaggio e non capisco. Il rumore della città ci sembra soltanto che ferisca gli
orecchi. E che cosa è mai la vita, se un uomo non può ascoltare il grido solitario del
succiacapre o discorsi delle rane attorno ad uno stagno di notte?
Ma io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il dolce rumore
del vento che soffia sulla superficie del lago o l’odore del vento stesso, pulito dalla
pioggia o profumato dagli aghi di pino.
L’aria è preziosa per l’uomo rosso poiché tutte le cose partecipano dello stesso
respiro.
L’uomo bianco sembra non accorgersi dell’aria che respira e come un uomo da
molti giorni in agonia, egli è insensibile alla puzza.
Ma se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare che l’aria è preziosa
per noi e che l’aria ha lo stesso spirito della vita che essa sostiene. Il vento, che ha dato
ai nostri padri il primo respiro, riceve anche il loro ultimo respiro. E il vento deve dare
anche ai vostri figli lo spirito della vita. E se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete
tenerla da parte e come sacra, come un posto dove anche l’uomo bianco possa andare
a gustare il vento addolcito dai fiori dei prati.
Perciò noi consideriamo l’offerta di comprare la nostra terra, ma se decideremo
di accettarla, io porrò una condizione. L’uomo bianco deve trattare gli animali di questa
terra come fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco altri pensieri. Ho visto migliaia di
Il discorso di Capo Seattle 12/01/11 20:36
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bisonti che marcivano sulla prateria, lasciati lì dall’uomo bianco che gli aveva sparato
dal treno che passava. Io sono un selvaggio e non posso capire come un cavallo di ferro
sbuffante possa essere più importante del bisonte, che noi uccidiamo solo per
sopravvivere.
Che cosa è l’uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani
morirebbero di solitudine. Perché qualunque cosa capiti agli animali presto capiterà
all’uomo. Tutte le cose sono collegate.
Voi dovete insegnare ai vostri figli che il terreno sotto i loro piedi è la cenere dei
nostri antenati. Affinché rispettino la terra, dite ai vostri figli che la terra è ricca delle
vite del nostro popolo. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai
nostri, che la terra è nostra madre. Qualunque cosa capita alla terra, capita anche ai
figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi.
Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene
alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce
una famiglia. Qualunque cosa capita alla terra, capita anche ai figli della terra. Non è
stato l’uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa egli
faccia alla tela, lo fa a se stesso. Ma noi consideriamo la vostra offerta di andare nella
riserva che avete stabilita per il mio popolo. Noi vivremo per conto nostro e in pace.
Importa dove spenderemo il resto dei nostri giorni.
I nostri figli hanno visto i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri
hanno provato la vergogna. E dopo la sconfitta, essi passano i giorni nell’ozio e
contaminano i loro corpi con cibi dolci e bevande forti. Poco importa dove noi
passeremo il resto dei nostri giorni: essi non saranno molti. Ancora poche ore, ancora
pochi inverni, e nessuno dei figli delle grandi tribù, che una volta vivevano sulla terra e
che percorrevano in piccole bande i boschi, rimarrà per piangere le tombe di un popolo,
una volta potente e pieno di speranze come il vostro. Ma perché dovrei piangere la
scomparsa del mio popolo? Le tribù sono fatte di uomini, niente di più. Gli uomini vanno
e vengono come le onde del mare. Anche l’uomo bianco, il cui Dio cammina e parla con
lui da amico a amico, non può sfuggire al destino comune.
Può darsi che siamo fratelli, dopo tutto. Vedremo.
Noi sappiamo una cosa che l’uomo bianco forse un giorno scoprirà: il nostro Dio
è lo stesso Dio. Può darsi che voi ora pensiate di possederlo, come desiderate
possedere la nostra terra. Ma voi non potete possederlo. Egli è il Dio dell’uomo e la sua
compassione è uguale per l’uomo rosso come per l’uomo bianco. Questa terra è
preziosa anche per lui. E far male alla terra è disprezzare il suo creatore. Anche gli
uomini bianchi passeranno, forse prima di altre tribù. Continuate a contaminare il vostro
letto e una notte soffocherete nei vostri stessi rifiuti.
Ma nel vostro sparire brillerete vividamente, bruciati dalla forza del Dio che vi
portò su questa terra e per qualche scopo speciale vi diede il dominio su questa terra
dell’uomo rosso. Questo destino è un mistero per noi, poiché non capiamo perché i
bisonti saranno massacrati, i cavalli selvatici tutti domati, gli angoli segreti della foresta
pieni dell’odore di molti uomini, la vista delle colline rovinate dai fili del telegrafo. Dov’è
la boscaglia? Sparita. Dov’è l’aquila? Sparita. E che cos’è dire addio al cavallo e alla
caccia? La fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.
Noi potremmo capire se conoscessimo che cos’è che l’uomo bianco sogna, quali
speranze egli descriva ai suoi figli nelle lunghe notti invernali, quali visioni egli accenda
nelle loro menti, affinché essi desiderino il futuro. Ma noi siamo dei selvaggi. I sogni
dell’uomo bianco ci sono nascosti. E poiché ci sono nascosti noi seguiremo i nostri
pensieri.
Perciò noi considereremo l’offerta di acquistare la nostra terra. Se accetteremo
sarà per assicurarci la riserva che avete promesso. Lì forse potremo vivere gli ultimi
nostri giorni come desideriamo. Quando l’ultimo uomo rosso sarà scomparso dalla terra
ed il suo ricordo sarà l’ombra di una nuvola che si muove sulla prateria, queste spiagge
e queste foreste conserveranno ancora gli spiriti del mio popolo.
Poiché essi amano questa terra come il neonato ama il battito del cuore di sua
madre. Così, se noi vi vendiamo la nostra terra, amatela come l’abbiamo amata noi.
Conservate in voi la memoria della terra com’essa era quando l’avete presa e con tutta
la vostra forza, con tutta la vostra capacità e con tutto il vostro cuore conservatela per i
vostri figli ed amatela come Dio ci ama tutti.
Noi sappiamo una cosa, che il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra è
preziosa per Lui. Anche l’uomo bianco non fuggirà al destino comune. Può darsi che
Il discorso di Capo Seattle 12/01/11 20:36
http://www.mistic.it/storiediconfine/discorso_di_capo_seattle.htm Pagina 4 di 4
siamo fratelli, dopo tutto. Vedremo!
Capriolo Zoppo, 1854
15- sett. 2001 Mistic.it

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