I am "Bielejs"

SILVANO DI ENZO JANNACCI

klicca sulla scritta per visualizzare il filmato.

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La Società degli operai tessitori in Panni Lana di Crocemosso


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La conquista del K2 - alpinista Biellese Angelino Ugo



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La Panoramica Zegna negli anni 60

https://primabiella.it/video-piu-visti/documentario-del-1962-sulla-panoramica-zegna-virale-su-facebook/?fbclid=IwAR0bx9X81OWE4i4e39PTTOlwiG5Pj-Iw9iTLCghs6HVAGl11E9NDshgprHM

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Da Geo e Geo - vai a 2ore e 7 minuti. - Pastori biellesi Geo


Prendetevi questa mezz'ora, mi ringrazierete. Dovete far scorrere o saltare le prime due ore e sette minuti di trasmissione, il documentario era in chiusura: 

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https://www.raiplay.it/video/2019/10/geo-i-malgari-della-valle-c63e5d8d-2686-48a8-b583-e80f49346bb1.html?fbclid=IwAR2GL6BS50s7rpZBJkO9MVsSKKF0N6n_aWHnXtER5Rc2y5jEPtTojEpm23w

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https://50sfumaturedibiella.com/

sito dedicato a le Sfumature di Biella, con bellissime foto

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Intervista a Gianguido Frassati : Il legno ..... è vita.

https://www.youtube.com/watch?v=I_xKuCQ8eQU

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Gaston Strobino, l'americano di Mosso bronzo alle olimpiadi


Home 
Articolo di: domenica, 27 agosto 2017, 8:45 m. tratto da un link su eco di Biella del 27 agosto 2017
http://www.ecodibiella.it/it/web/gaston-strobino-l%E2%80%99americano-di-mosso-bronzo-alle-olimpiadi-17389/sez/spettacoli-e-cultura/
Gaston Strobino, l’americano di Mosso bronzo alle Olimpiadi

Memorie della nostra terra
https://www.youtube.com/watch? v=wJ1U5f4CNCE. Inserite questo permalink nel vostro motore di ricerca preferito. Youtube vi mostrerà un filmato di due minuti incentrato sulla maratona delle Olimpiadi di Stoccolma del 1912. Arrivati al quarantacinquesimo secondo, mettete in pausa e osservate la scena. Nel fotogramma c’è un corridore in primo piano, con la pettorina numero 610. La folla applaude il passaggio di quel piccolo atleta, esile, con la testa un po’ sproporzionata e con le gambe corte. Sulla sua maglia campeggia uno scudo che rappresenta la bandiera a stelle e strisce, perchè quel podista stava difendendo gli Stati Uniti d’America nella disciplina più epica e simbolica dei Giochi Olimpici moderni. Il giovane nel fotogramma si chiamava Gaston Maurice Strobino. Alla fine del percorso sarà il terzo a tagliare il traguardo. Gaston Maurice Strobino, medaglia di bronzo alla maratona della Quinta Olimpiade, era cresciuto negli States, ma aveva sangue tutto biellese. La storia di quella grande manifestazione sportiva è significativa, soprattutto dal punto di vista statunitense. Come al solito gli USA fecero incetta di medaglie (63 in tutto, superati solo dai padroni di casa, ma gli svedesi avevano conquistato un oro in meno) ma il loro medagliere non era ancora il manifesto di quella multietnicità nazionale cui siamo abituati da tempo. I nomi dei 174 atleti stars and stripes erano esclusivamente w.a.s.p. (white anglo-saxon protestant), anche se non mancavano gli irlandesi che, probabilmente, erano di credo cattolico. Ma si trattava di una minuscola variazione sul tema. C’erano più che altro gli Adams, i Graham, i Kelly, gli Sheppard e non pochi Mc-qualcosa. C’erano anche alcuni ebrei, come Abel Kiviat. Ma è inutile cercare latinos e negros, anche se qualche “faccia di rame” (cioè pellirossa) a dire il vero c’era. Pur con tutte le questioni razziali e politiche che quelle colorate presenze comportavano, per un paese che non aveva per niente finito di fare in conti con la diversa pigmentazione della pelle dei suoi cittadini. E tanto meno con la definizione di “veri americani” che spettava ai nativi molto più che ai coloni pionieri europei. Ecco perchè i “non bianchi” erano così pochi. C’era il nuotatore hawaiano “Duke” Kahanamoku, che vinse l’oro nei 100 stile libero. C’era il fondista Lewis Tewanima, indiano Hopi, che portò a casa l’argento sui 10.000. E c’era naturalmente il protagonista assoluto di quelle Olimpiadi, il “più grande atleta del mondo” (parola di re Gustavo V di Svezia), il pellirossa Wa-Tho-Huk, ovvero Jacobus Franciscus “Jim” Thorpe, che dominò le gare di pentathlon e di decathlon. La sua è stata una vita eroica e struggente. Ascoltarla raccontata da Francesco Graziani per Rai Radio 1 in “Numeri Primi: uomini e storie senza uguali” commuove fino alle lacrime. Atleta eccezionale, una vera forza della natura che ogni stato vorrebbe tra i suoi miti, Jim Thorpe fu invece osannato per un breve istante e poi distrutto dai suoi stessi compatrioti perché indiano, cioè non riconosciuto come adatto a rappresentare l’America bianca di allora. Le sue due medaglie d’oro furono rifiutate e riconsegnate per un insignificante cavillo formale, segnalato proprio dai giornalisti statunitensi, e quindi rimasero “non assegnate” per decenni. Gli avversari battuti sul campo si dimostrarono più che corretti e non vollero averle al collo dopo che Thorpe si era dimostrato, gareggiando sportivamente, migliore di loro. Solo di recente, quando “Jim” se n’era già andato poverissimo e ormai dimenticato da tutti, il Cio ha rimesso le cose a posto.

In quel contesto così difficile, così poco inclusivo, fa effetto notare un nome italiano. L’unico tra 174. L’unico malgrado gli italiani fossero già diversi milioni negli USA e malgrado molti di loro avessero già dimostrato di non essere soltanto maccheroni e pizza. 
E colpisce ancora di più se si constata che quell’unico nome era biellese. Gaston Maurice, detto “Gal”, Strobino era nato in Svizzera, a Büren sull’Aare (Cantone di Berna), il 23 agosto 1891 da genitori provenienti da Mosso Santa Maria. 
Non è chiaro il motivo di quella destinazione per la famiglia Strobino. Il villaggio di Büren aveva poco da offrire se non qualche fabbrica di orologi e un po’ di agricoltura. Forse fu per le poche opportunità che quella località poteva dare che nel 1892 gli Strobino decisero di spostarsi negli Stati Uniti. Giunsero quindi a Paterson, la cittadina industriale del New Jersey. Paterson, la “Silk city”, era invece la meta ideale per chi avesse dimestichezza con i telai, anche se da quelle parti, come dice il soprannome, si tesseva la seta e non la lana. Paterson era piena di opifici, piena di italiani e piena di anarchici. Quando Gaston aveva nove anni qualcuno deve avergli spiegato che un certo Gaetano Bresci era partito proprio da Paterson per tornare in Italia allo scopo di uccidere il re. Non si hanno notizie precise dell’infanzia del mossese trapiantato in New Jersey, ma è invece appurato che la sua passione per la corsa lo aveva indotto a iscriversi al “South Paterson Athletic Club”. Il sodalizio sportivo cittadino doveva essere una buona scuola visto che in quegli anni sfornava corridori di belle speranze, tra cui quel Louis Scott che entrò nel giro della Nazionale e che a Stoccolma si aggiudicò l’oro nei 3.000 metri. La prima menzione ufficiale al nostro Gaston arrivò in occasione della corsa organizzata dal giornale newyorkese “The Evening Mail”, all’epoca di proprietà di quel genio di Rube Goldberg. La competizione, indetta dalla testata di Broadway, fu una delle prime a svolgersi in città ed è considerata la progenitrice dell’attuale maratona di New York. La gara si svolse il 6 maggio 1911, tra il Bronx e la City Hall, su uno sviluppo di 12 miglia (poco meno di 20 Km). Di fatto una mezza maratona con un migliaio di atleti alla partenza. Secondo la stampa dell’epoca almeno un milione di persone assistette alla manifestazione. Si impose il citato Lewis Tewanima e secondo giunse un altro asso, Mitchell Arquette, anch’egli nativo americano. C’è una fotografia che li ritrae entrambi. Ma accanto a loro c’è anche Gaston Strobino, un vero sconosciuto fino a quel momento, che però riuscì a piazzarsi quarto assoluto (tempo 1h 11’ 20”). Un risultato inaspettato, sorprendente anche per gli addetti ai lavori.

L’anno successivo il “New York Evening Mail” ripropose la stessa iniziativa con l’intento di bissare il successo sportivo e di pubblico. Questa volta vinse Louis Scott, ma appena dietro di lui si presentò Gaston Strobino che aveva anche migliorato il suo tempo (1h 09’ 20”). Con le Olimpiadi svedesi ormai prossime, il ragazzo italiano che gareggiava per il “South Paterson Athletic Club” non poteva essere ignorato nelle convocazioni per la squadra americana diretta in Scandinavia. Fu quindi inserito in una sorta di lista per riserve, ma per poter prender parte alla spedizione quegli atleti di “seconda scelta” dovevano pagarsi il viaggio. Grazie al suo club, alla famiglia e agli amici, lo Strobino riuscì a mettere insieme la somma necessaria e fu quindi accolto nel team che si stava imbarcando sul “Finland” per Stoccolma. Il suo rango di ultimo arrivato e di emigrante lo fece designare come gregario rispetto a coloro che erano già stati indicati quali capitani nelle varie discipline a lui congeniali. Strobino, che non aveva mai affrontato una vera maratona, doveva correre non per sè, ma per gli altri compagni di squadra ritenuti più dotati. Ma una gara così massacrante e lunga si può pianificare solo fino a un certo punto e little Gaston, quando il campione designato, Lewis Tewanima, al venticinquesimo chilometro non ce la fece più a reggere il passo delle lepri sudafricane, capì che doveva tentare il tutto per tutto. Nel pomeriggio del 14 luglio 1912, sotto un sole cocente e con una temperatura insolitamente alta per la capitale svedese (32°), la maratona di Stoccolma si rivelò una prova tremenda. Sebbene la distanza fosse inferiore di due chilometri rispetto a quella attuale di 42.195 metri, il caldo, la polvere sulle strade, i quasi nulli punti di ristoro risultarono condizioni proibitive che causarono seri problemi ai concorrenti. Al trentesimo chilometro, il portoghese Francisco Lazaro stramazzò al suolo per la disidratazione e la fatica. Morirà nelle ore successive. Poco prima il nipponico Shizo Kanakuri, che pure ambiva al successo finale, si ritirò (anzi si “assentò”) in maniera rocambolesca non dando più notizie di sè. Fu dichiarato ufficialmente come “persona scomparsa” e la sua vicenda, peraltro nota e proverbiale in Svezia, lo portò a concludere il suo percorso in 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi... Nel mentre Gaston Strobino, con la sua andatura cadenzata e regolare, risaliva dal nono al terzo posto e a cinque chilometri dalla conclusione si poneva all’inseguimento di Ken McArthur e Christian Gitsham. I due podisti del Sud Africa erano in stato di grazia, ma l’italo-americano non mollò fino alla fine. Bronzo clamoroso con il cronometro fermo sulle 2 ore, 38 minuti, 42 secondi e 4 decimi. Niente male, a meno di due minuti da McArthur, il vincitore. Quel terzo posto fu un vero trionfo, un exploit che fece fare al nome di Gaston Strobino il giro del mondo. E arrivò anche a Biella. “il Biellese” rilanciò la “Gazzetta dello Sport” che così descrisse il mossese: “E’ un forte e un giovane intelligentissimo che ha saputo oggi, con una corsa regolarissima e progressiva, minacciare ben da vicino i vincitori... potendo far credere per un momento che la stellata bandiera americana, a cui noi avremmo sorriso come fosse la nostra, anzichè alla terza antenna si elevasse alla prima. E ce lo fece sperare per un istante, data la sua meravigliosa freschezza, che contrastava ben fortemente con lo stato depresso del vincitore.” Gaston fu accolto al suo ritorno come avesse vinto davvero e divenne uno sportivo famoso. Negli anni seguenti si distinse in alcune competizioni nazionali e nel 1915, quando si iscrisse al prestigioso “New York Athletic Club”, fu campione assoluto della corsa campestre sulle sei miglia.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, che lo vide arruolato, ma non combattente, Gaston Strobino non era più in grado di correre ad alto livello. I soldi della pubblicità per la Tuxedo, una manifattura di tabacchi attiva a Paterson (allora fumo e sport andavano d’accordo, anche se l’immagine del maratoneta con la sigaretta in bocca doveva essere poco credibile già all’epoca), non erano più sufficienti e i risparmi derivati dalle gare vinte nemmeno. Per vivere, non avendo alcun tipo di formazione, Gaston Strobino dovette adattarsi a lavorare in un’officina, ma non è detto che quella attività fosse per lui così umiliante. Anzi, il biellese che vinse per gli USA una medaglia alle Olimpiadi di Stoccolma, non aveva talento solo per la corsa. Doveva aver appreso o ereditato un minimo di attitudine per la meccanica di precisione. Tant’è che iniziò a depositare brevetti per strani marchingegni. Brevetti tuttora esistenti e liberi, debitamente registrati e descritti. Nel 1920 si inventò una macchina per sagomare oggetti ovali, nel 1926 studiò un sistema per migliorare il suono dei fonografi. Nel 1947 si occupò di misure con i giroscopi. Nello stesso anno elaborò uno strumento musicale a vento. Ma la lista è assai più lunga. In effetti, quando nel 1928 si trasferì da Paterson in Illinois, la sua professione dichiarata era quella dell’inventore. Gaston Strobino morì a Downers Grove (nei pressi di Chicago) il 30 marzo del 1969 e fu sepolto nel locale cimitero. La sua storia è, almeno in parte, quella del “sogno americano.” Chi ha i numeri o, come nel suo caso, le gambe e i polmoni, può farcela stupendo tutti. Anche il figlio di poveri emigranti di Mosso può avere la sua chance e deve solo saperla sfruttare, anche se si presenta sotto forma di maratona olimpica. Gaston non fu mai un campionissimo, ma seppe stare al gioco e al mondo, tribolando, ma anche divertendosi, competendo con i migliori senza soggezione. E il nostro Strobino è anche un esempio di come gli Stati Uniti d’America, nel bene e nel male, premiano chi è capace di cambiare vita, di sviluppare altre abilità senza rimpiangere le esperienze precedenti. Danilo Craveia

Cerca anche il rosso di Pistolesa Eligio Strobino con la funzione di ricerca.

Fabbrica F.lli Ormezzano 

dove ho iniziato a lavorare nel Settembre 1962.

Ricordi dell'alluvione del 1968


MATTEO PRIA

VALLEMOSSO 10-11-2018

2-11-1968

Cinquant'anni fa il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat arrivò con l'elicottero a

Vallemosso per rendersi conto di persona del disastro avvenuto dopo l'alluvione e per

testimoniare la vicinanza dello Stato. Oggi sarà il turno di Sergio Mattarella salire nella valle

dello Strona, per dire ancora una volta che lo Stato c'è.

Troverà un territorio che ha saputo convivere con l'acqua investendo in sicurezza lungo il

torrente e scoprirà un'area che continua a essere un punto di riferimento del tessile e

dell'economia italiana. E' questo il messaggio che gli amministratori porteranno all'attenzione

del Capo dello Stato. Nonostante i 58 morti, le case distrutte e centinaia di posti di lavoro

persi con l'alluvione del 1968, la vallata ha saputo risollevarsi e rilanciarsi. La presenza di

un'alta carica dello Stato era stata chiesta dal presidente dell'Unione montana Carlo Grosso

mesi fa, durante la presentazione degli eventi per celebrare i 50 anni dalla tragedia. Aveva

trovato l'appoggio della Prefettura, che si è fatta portavoce del messaggio per accendere i

riflettori sulla valle di Mosso.

Oggi a fare gli onori di casa ci sarà il sindaco di Vallemosso Cristina Sasso, che parlerà nel

padiglione in piazza Alpini. «Il paese da allora è ripartito, ma l’alluvione ha segnato per anni

il territorio. Non a caso il nostro piano regolatore ci ha messo decenni prima di essere

approvato con notevoli restrizioni. Sono stati spesi milioni di euro lungo lo Strona per la sua

messa in sicurezza, ma in valle abbiamo ancora le più importanti realtà imprenditoriali

italiane del tessile». Prevista anche la presenza di Paolo Botto Poala, industriale testimone del

disastro dell'alluvione.

IL PROGRAMMA

Mattarella giungerà a Cerrione con l'aereo presidenziale per dirigersi con la scorta a

Vallemosso. Nessuna strada verrà chiusa, anche se sono state adottate tutte le misure di

sicurezza del caso. Il programma è definito: omaggio al monumento dedicato ai morti

dell'alluvione a Campore, incontro con la popolazione a Vallemosso, visita privata alla

mostra della Romanina e infine esercitazione di Protezione civile sul torrente Poala. Sergio

Mattarella incontrerà anche alcuni protagonisti dell'alluvione di 50 anni fa. Sicuramente il

fotografo Sergio Fighera, che ha testimoniato con le sue immagini la tragedia, poi i familiari

dei cittadini di Vallemosso che ricevettero la medaglia al valor civile. Il presidente incontrerà

anche Giuseppe Cossu, carabiniere di 81 anni in servizio all'epoca a Vallemosso, Ci saranno

anche due bambine di quei tempi: Dorina Cerri, che venne portata in salvo dal carabiniere

Agostino Bova (deceduto da pochi mesi), e Lorella Nofri, che il 7 novembre 1968 salì

sull'elicottero presidenziale per essere portata all’ospedale «Regina Margherita» di Torino ed

essere curata.


Marco Sella Ciaffrey era il Preside delle Scuole Superiori di Mosso che io frequentavo

Ieri alle 09:43

Nell'occasione del cinquantenario dell'alluvione voglio pubblicare l'intervento che mio padre,

sindaco di Mosso S. Maria in quei tristi giorni, preparò in occasione del trentennale. E' molto

dettagliato e sono certo che molti di voi ricorderanno gli avvenimenti e le persone citate.

2 Novembre 1968 il sindaco di Mosso S. Maria ricorda

Sono trascorsi trenta anni da quel tragico 2 novembre 1968 ma alla mente si affollano i

ricordi relativi all’alluvione che colpì Mosso Santa Maria.

Nel periodo in cui ero sindaco in mattinata e nel pomeriggio caddero le prime frane ed io, che

ero sceso a Biella per assolvere ai miei doveri di ufficio, fui costretto a provare diversi

itinerari prima di individuare quello che mi portò a Mosso

Nel pomeriggio il cielo era di un livido colore verde e sembrava che tutti i temporali

autunnali si fossero dati convegno nella valle.

Alle 18 era già buio pesto ed avendo inteso un forte boato vidi che era franato il prato davanti

casa mia nell’intersezione con la strada di Oretto e l’acqua che scendeva da tale strada, con

una cascata ricadeva in Via Quintino Sella formando un impetuoso torrente diretto verso la

Chiesa ed il Municipio. L’energia elettrica, a causa delle numerose frane, cessò e in quasi

tutte le case vennero accesi i lumini acquistati per adornare le tombe in occasione della

processione al cimitero prevista per il giorno successivo.

Io avrei voluto raggiungere il Municipio ma non possedendo stivali ed avendo a disposizione

soltanto una pila di tipo lucciola che illuminava si e no un metro davanti a me, decisi di

attendere un miglioramento del tempo. Verso sera si verificò un rallentamento nella caduta

della pioggia, tentai di scendere in comune, ma dopo pochi passi mi sentii afferrare per il

collo. Era un filo dell’illuminazione pubblica che si era staccato dal palo. Ritornai quindi in

casa e decisi di attendere le prime luci dell’alba.

L’indomani scesi in piazza dove incontrai il Comandante della Stazione dei Carabinieri

Brigadiere Mattia e tentammo di comunicare al mondo quanto era successo nella Valle con

un piccolo trasmettitore a pile prestato da un radioamatore. Riuscimmo a collegarci con una

persona residente a Voghera pregandola di comunicare ai Carabinieri della sua città quanto si

era verificato nella nostra zona. La persona, temendo trattarsi di uno scherzo era molto

perplessa e non promise nulla. Fummo costretti a interrompere il collegamento in quanto le

pile si erano esaurite. Cambiate le pile riuscimmo finalmente a comunicare con Biella che

immediatamente predispose i primi interventi.

Nel 1968 non esisteva il servizio di protezione civile e molte soluzioni attuate a Biella furono

successivamente utilizzate su scala nazionale per organizzarlo.

Incominciarono ad affluire i primi soccorsi con offerte della popolazione locale e dal comune

di Biella, a mezzo di un elicottero che atterrava su un prato di fronte al Lanificio Ormezzano,

e con l’aiuto di validi collaboratori organizzammo un primo sistema di pronto intervento, Il

Brigadiere Mattia ed il vice-sindaco Sig. Mario Bedotto con alcuni volontari e con l’aiuto

della ditta Strobino provvidero al ricupero delle salme delle povere vittime ed alla loro

sistemazione nelle bare ed, in mancanza di ruspe, utilizzando le pale riuscirono a creare dei

varchi a fianco delle numerose frane per consentire il passaggio almeno ai pedoni e per

facilitare il trasporto delle bare. Utilizzando l’elicottero furono trasportati in ospedale oppure

a Mosso i feriti per prestar loro le prime cure. Per provvedere alla sistemazione degli sfollati

furono invitati i cittadini a mettere a disposizione gli alloggi o le camere vuote segnalandoli

alla segreteria del comune o al Vice-parroco Don Barbera.

Per facilitare i controlli e rendere più razionale l’opera di assistenza e di aiuto alla

popolazione chiesi ed ottenni la collaborazione di numerose persone e mi scuso se non potrò

ricordarle tutte. Anche il giornale La Stampa inviò un consistente contributo in denaro per

poter assistere i danneggiati. Nelle ore serali formammo un gruppo di lavoro composto dal

Vice-sindaco, dal Vicario Don Adriano Motta, dall’Ufficiale sanitario Dr. Franco Cassardo,

dal Brigadiere Mattia, dal Segretario comunale Rag. Raffaele Correale e da alcuni Consiglieri

comunali e, sotto la mia presidenza stabilimmo i criteri da seguire nella concessione dei

sussidi ai cittadini danneggiati sia direttamente che indirettamente dall’alluvione. In base a

tali criteri, con l’aiuto degli impiegati comunali furono predisposti gli elenchi delle famiglie

da assistere.

Il pagamento dei sussidi in denaro fu affidato al Giudice Conciliatore Sig. Leanza che assolse

con molto scrupolo e precisione alle sue mansioni.

La consegna dei pacchi viveri fu, invece, affidata a un gruppo di Signore e Signorine

coordinato dalla Prof.ssa Emilia Bertola e funzionante nella sala del Consiglio Comunale. Per

venire incontro alle necessità delle persone anziane o impossibilitate a muoversi i Consiglieri

Comunali Sig. Mario Grosso e Sig. Pio Garbaccio Valina provvidero a recapitare i pacchi a

domicilio.

La gestione dell’altro materiale (pale, stivali, coperte, tubi per l’acqua, ecc.) custodito in

Municipio fu, invece, affidata al Vice-sindaco con la collaborazione del Sig. Adriano Tonso e

del Sig. Ilio Grosso.

Io, dopo aver organizzato il lavoro di primo intervento fui costretto a rimanere in ufficio dove

con la valida collaborazione del Rag. Correale tentai di risolvere i numerosi problemi

presentati da un flusso continuo di persone.

Per risollevare il morale della popolazione fu ripristinato il vecchio forno a legna della

Cooperativa e nella notte fu impastato il pane alla luce dei fari di una macchina e

successivamente infornato ottenendo un ottimo prodotto ed anche da qualche comune vicino

vennero ad acquistare il pane a Mosso.

Intanto la Prefettura di Vercelli assegnò i fondi per il pronto intervento e gli uffici del Genio

Civile incaricarono alcune ditte di effettuare i lavori necessari per ripristinare la viabilità.

Sulle strade principali vi era una frana in media ogni dieci metri e l’unica strada rimasta

indenne era quella che passando da Borgata Ormezzano scendeva a Vallemosso. Anche i

ponti erano tutti fuori uso ed il Genio Militare gettò un ponte fra Mosso e Crocemosso. Nel

mio ufficio vi era sempre qualcuno che aveva dei problemi da presentare, e quando vennero a

Mosso il Prefetto o il Colonnello comandante i Carabinieri della provincia, fummo costretti a

spostarci nel locale antigabinetto per poter parlare liberamente di problemi riservati. Un

momento difficile da superare si ebbe quando le Autorità Superiori messe in allarme dai

geologi stabilirono che il vicino Comune di Pistolesa era gravemente in pericolo perché erano

possibili altre frane e ne ordinarono l’evacuazione. Per predisporla in gran segreto io, il

Segretario comunale ed i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri ci riunimmo a tarda sera in

un bar di Mosso. Tenuto conto del fatto che parecchi abitanti di Pistolesa già si erano

sistemati presso parenti o nei locali messi a disposizione dai Mossesi, si ritenne opportuno

chiedere l’autorizzazione a occupare i locali in località Frieri di proprietà di un ente di

Vercelli (forse l’ECA) che li utilizzava soltanto durante l’estate per le colonie estive dei

bambini, autorizzazione che fu concessa. Per rendere possibile l’evacuazione e per garantire

la popolazione sfollata contro i casi di sciacallaggio, l’Arma dei Carabinieri mise a

disposizione una cinquantina di Militi che in un primo tempo aiutarono gli abitanti a sfollare

e successivamente furono adibiti al controllo delle case rimaste vuote. I militari dell’Arma

durante i periodi di riposo furono ospitati nei locali predisposti dal comune di Mosso per

l’inizio dell’attività dell’Istituto Tecnico, locali in parte adibiti anche per accogliere gli

sfollati di Pistolesa.

La palestra delle Scuole Elementari fu, invece, utilizzata per ospitare i militari dei

Cavalleggeri di Lodi comandati dal Capitano Arrigoni accorsi da Lenta per aiutare le

popolazioni di Vallemosso e di Pistolesa a sgomberare le case pericolanti e per rimuovere le

macerie.

Molti ricordi mi ritornano alla mente, ma uno mi è rimasto impresso e riguarda l’intervento

che mi fu richiesto dai Salumifici di proprietà dei Signori Bocchio e Sella per salvare ottanta

quintali di carne in lavorazione. Per risolvere il problema il Lanificio Ormezzano mise a

disposizione un generatore di energia elettrica da loro utilizzato in tempo di guerra e dal

Centro di soccorso di Biella ci fu inviato un notevole quantitativo di cavo elettrico che

l’elettricista sig. Piero Fila Robattino con l’aiuto di alcuni volontari utilizzò per collegare il

generatore ai salumifici. Nei momenti di pausa l’energia fu utilizzata per il forno del pane.

Passato il primo periodo di crisi venne a Biella il Presidente del Consiglio On. Leone che alla

presenza delle principali autorità provinciali e locali convocò i Sindaci dei comuni alluvionati

presso il Municipio di Biella per un primo esame della situazione e per predisporre in

concreto un piano per risolvere il grave problema dell’industria tessile i cui stabilimenti erano

stati distrutti dall’impeto delle acque o erano stati invasi dal fango e dalla melma rendendo

inservibili i macchinari e per ricostruire le fognature, i ponti, le strade e gli edifici

danneggiati.

Non appena ripristinata la viabilità ordinaria il Presidente della Repubblica On. Saragat

accompagnato dall’On. Scalfaro e dal Prefetto di Vercelli visitò le zone alluvionate per

rendersi conto personalmente della situazione e per avere un contatto diretto con le

popolazioni.

Per poter intervenire rapidamente nell’opera di ripristino dei beni danneggiati i Sindaci dei

comuni alluvionati chiesero al Provveditorato Generale delle Opere pubbliche per il Piemonte

l’autorizzazione a far preparare da tecnici di fiducia i necessari progetti da cedere poi al

Genio Civile che, in caso contrario, non avrebbe avuto la possibilità di provvedere

direttamente per mancanza di personale. Fu altresì richiesta l’autorizzazione a preparare i

Piani di ricostruzione. Entrambe le autorizzazioni furono concesse facendo notevolmente

ridurre i tempi di attesa prima dell’inizio dei lavori.

Il ricordo che maggiormente mi è rimasto impresso è la presenza di uno spirito di solidarietà

da parte di tutta la popolazione che ha consentito di superare lo sconforto dovuto

all’immensità ed alla gravità dei danni sofferti.

Un particolare ringraziamento rivolgo ancora alla Regione Autonoma della Valle di Aosta

che mandò una piccola ma molto efficiente squadra attrezzata per aiutarci a rendere agibile

una strada disastrata da noi scelta. Ringrazio ancora la Società Dalmine che donò al comune

un camion di tubi per riparare o sostituire i tubi dell’acquedotto e le Acciaierie di Bolzano per

l’utilissima motosega donata.

Un grazie sentito rivolgo al Giornale La Stampa che grazie a Specchio dei tempi intervenne

immediatamente con un cospicuo aiuto.

Ringrazio a nome di tutta la cittadinanza il Comitato per i soccorsi di Biella sempre pronto a

concederci quanto richiesto.

Un grazie sentito anche agli studenti ed a tutti coloro che hanno aiutato a spalare per rendere

più agibili le strade o per eliminare il fango che aveva invaso gli stabilimenti e le case. E che

hanno collaborato con il Sig. Boccalatte e gli altri idraulici per ripristinare o riparare le

condutture dell’acqua potabile.

Un ricordo particolare per il Sig. Prefetto di Vercelli che con nobile gesto è salito nel Natale

successivo per ringraziarci e per porgere fervidi auguri ricambiati da noi con cuore. Grazie

anche alla Famija Piemunteisa che è venuta con Gianduia a farci visita per incoraggiarci a

ben continuare.

Concludo con un grande elogio alla popolazione di Mosso ed a tutte le autorità civili,

religiose e militari che con abnegazione e spirito di sacrificio collaborarono con me durante

l’alluvione e successivamente.

Mario Sella Ciaffrei


Silvano Strobino Sono stato anch'io allievo di suo Padre Sella Ciaffrei Mario, quello che

descrive è proprio così, sembra di rivivere quei momenti. io in quel periodo lavoravo al

Lanificio Ormezzano e ricordo come ieri la linea elettrica stesa in un batter d'occhio per

collegare il forno, per fare il pane e i due salumifici.


Silvano Strobino Poche parole e come dicono i Biellesi " date da fè e boggia" Ero abitante di

Gianolio e fui "sfollato" per pochi giorni da parenti in quel di Mosso. Da qualche parte

conservo ancora la tessera/lasciapassare, che ci permetteva di accedere, durante il giorno, alle

ns case per recuperare le ns. cose di prima necessità.


Articolo di: mercoledì, 15 febbraio 2017, 10:54 m.
«La Protezione civile? Nacque nel 1968, nella vostra Vallestrona»

L’eredità dell’alluvione

VALLE MOSSO - Il 2 novembre 1968, mentre in Valle Strona scendeva il buio del disastro, il ventiquattrenne genovese Valter Bay è «un oscuro sergentino Auc» del 51° corso per allievi ufficiali di complemento. Opera alla caserma Scalise di Vercelli, nell’ambito del reggimento di artiglieria corazzata Centauro. «Piove molto forte - ricorda -, ma francamente nulla fa presagire quello che sta per succedere. Alle due di notte fulmini, tuoni e schianti mi svegliano di soprassalto. Chiedo alla guardia cosa stia succedendo. Non vedo nulla. La corrente è andata via   e non ci sono generatori.  In mezzo ai fulmini intravedo sulla strada principale della caserma un platano secolare abbattuto.  Faccio accendere un M113 e lo faccio spostare, in modo da liberare il passo della strada. Poi aspetto gli eventi». Ed è solo l’inizio. «La faccenda a poco a poco si fa pesante - ricorda ancora Bay - e comincio ad avere una sensazione di paura. Comincio a capire chiaramente che siamo nel mezzo di un’alluvione di imponenti proporzioni». Non lo sa ancora Valter Bay, quel giorno casualmente finito al comando della caserma per turno da sergente di ispezione, che quel momento, quella paura, stanno per diventare pezzi di storia. 
Che grazie anche a lui un po’ d’Italia cambierà. 

Sono passati quasi cinquant’anni, ma Bay, oggi 72enne in pensione, vuole parlare con il Biellese. Non ha legami con l’attualità, ma lo fa per desiderio personale. Questioni di salute, da un lato. E poi l’intuizione che oggi, dopo tanti anni di silenzio, c’è finalmente interesse. Verso quei fatti, verso le macchine del soccorso, verso un mondo che, ad ogni calamità, in ogni caso - e la storia delle ultime settimane lo racconta più che mai - si attiva a beneficio di tutti: «Vi lascio la mia testimonianza su quanto accadde a Valle Mosso perché sappiate, biellesi, che nella vostra terra, in quei giorni, è nata per caso la cosiddetta Protezione civile. Quella fu la prima volta in Italia in cui l'ordine di muovere in soccorso di un luogo non derivò da ordini del Ministero, ma più banalmente derivò dalla calamità stessa». 
Negli stessi minuti in cui Bay iniziava a sentire paura, sempre più giustificata da quel che stava accadendo, qualcosa di storico si mosse. «Nel tardo pomeriggio del 1° novembre decisi di predisporre il mio gruppo per un’eventuale evacuazione della caserma. Avevo un grado troppo basso per prendere una simile iniziativa e cercai quindi di mettermi in contatto con qualche ufficiale. Niente. Allora, in tarda serata, feci chiamare un’adunata e chiesi se vi fossero artiglieri disponibili per formare un picchetto amato straordinario. Chiesi 100 volontari: se ne offrirono 180». 
E’ l’inizio. Da quel momento in poi, dall’istante in cui viene presa la decisione di evacuare la caserma per cercare salvezza su qualche altura nella zona di Gattinara, i militari della Centauro legano il loro destino alla Valle di Mosso. «La sera del 2 novembre un radioamatore, Tito Tallia Galoppo di Strona, lancia il primo segnale con richiesta di soccorso - racconta Bay -. Ma un conto è pensare di agire, un conto è fare. Le strade e le comunicazioni sono bloccate. Ma quando il colonnello Lanzara, comandante della “Scalise”, riceve l’sos e ci porta la notizia di una tragica alluvione a Valle Mosso, segnalando l’urgenza di portare soccorso, non ci pensiamo un attimo. Siamo forse da soccorrere noi, ma dirigiamo tutta la colonna verso Cossato. Nella notte siamo a Valle Mosso». Quel che accadde dopo, per chi ricorda con onestà, è storia. L’alba del 3 novembre, dopo un difficile ingresso nell’asilo valmossese, utilizzato dai militari come ricovero, arriva presto. «E siamo subito al lavoro per soccorrere la gente - prosegue Bay -. Non abbiamo mangiato, non abbiamo dormito da tre giorni, siamo stanchi e fradici come pulcini, ma...  “tasi e tira” dicevano i nostri veci, cominciamo a lavorare per fare il possibile. Tutto il resto non conta...». 

Insomma, fu così che andò. «Il soccorso a Valle Mosso  - conclude Bay - fu comandato ed organizzato da noi, figli delle nostre montagne, che in quel momento indossavano le insegne della Centauro». E le cronache ne rendono merito: «Fu quello il primo vero episodio di protezione civile organizzato “dentro” la calamità - racconta Rivista militare -, secondo uno schema  ripetuto e collaudato anni dopo nel terremoto del 1976 in Friuli. Fu lo schema operativo dal quale nacque poi, attraverso Zamberletti, la Protezione civile in Italia, con integrazione fra civili e militari». E se non fosse stato per quell’«oscuro sergentino», tornato cinquant’anni dopo a cercar notizie della terra che aveva contribuito a salvare, oggi di questo neppure i Biellesi avrebbero coscienza.

Veronica Balocco


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1. Prima di tutto, anche se l’itinerario dovesse essere breve, rifornirsi e fare una scorta, da conservare in una piccola scatola, di cibi energetici leggeri e nutrienti. In questo modo, in caso di un improvviso calo di zuccheri e di energie, si è in grado di sopperire velocemente.

2. Mettere in un reparto il più possibile irraggiungibile dello zaino una mezza bottiglia d’acqua (piena) che dovrà tornare a casa esattamente piena come è partita. Non si tratta infatti della scorta d’acqua per la giornata (che dovrebbe essere di almeno un litro) ma di una vera e propria risorsa salvavita da non usare se non per assoluta emergenza.

3. Due torce elettriche. In caso di emergenza notturna averne soltanto una può risultare molto rischioso: potrebbe infatti non funzionare bene, spegnersi improvvisamente oppure scaricarsi. In commercio ne esistono di leggere e di dimensioni ridotte che non appesantiscono il peso dello zaino eccessivamente.

4. Un sacco grande di nylon forte di quelli per l’immondizia. In caso di cattivo tempo improvviso diventa una facile k-way fai da te che isola dall’acqua, protegge dal vento e tiene lontane le saette.

5. Anche se c’è il sole portare sempre con sé i copripantaloni e il coprigiacca in goretex (impermeabili). Prendono poco spazio, pesano poco ma in caso di brutto tempo fanno la differenza.

6. Un piccolo ombrello retrattile. Se per caso vi trovate in balìa della grandine la vostra testa vi ringrazierà di cuore.

7. Da non dimenticare altri due utensili salvavita: coltello e seghetto a serramanico, quest’ultimo, in particolare, utile per tagliare un po’ di legna di emergenza da utilizzare per accendere fuoco e scaldarsi.

8. Accendere un fuoco (solo in caso di estrema necessità e in luoghi dove non possa divampare in un incendio) può, in alcune situazioni, salvare la vita, nonché aiutare a localizzare la vostra posizione in caso vi foste persi. Per questo è buona norma avere nello zaino un accendino insieme a dei fiammiferi (da conservare in una scatola impermeabile). L’accendino infatti, se fa molto freddo, potrebbe non funzionare.

9. Se non siete esperti nell’accendere fuochi è utile anche portare con sé qualche blocchetto accendifuoco, sempre in una scatola impermeabile.

10. Una cannuccia di gomma da un metro per pescare acqua da forre non raggiungibili a piedi. L’oggetto può sembrare strano, ma chi l’ha provato garantisce che è molto utile e che non lo toglierebbe dallo zaino per nessun motivo.
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il link sopra riportato vi porta al libro del 1907 scritto in occasione della erezione dell'obelisco, in occasione del 600° anno della sua morte (1307 / 1907).

BREVE VEDEO SULLA STORIA DI FRA DOLCINO

klicca sul link sottostante







La lavorazione della lana una volta era così ........






Notizia tratta da : Stranom - I biellesi si chiamano così- di Pier Giorgio Tamaroglio - Edizioni Leone & Griffa
TURCH DA PISOLESA
C'è chi ritiene che lo stranome sia una contrazione di "tirchi". Ufficialmente però lo stranonome si fa risalire al vescovo Pietro Strobino, nativo di Pistolesa. Il detto monsignore fu missionario in Turchia. Da quelle terre lontane, cercò sempre di essere vicino ai suoi paesani inviando gli aiuti che poteva, ivi compresi i generi di vestiario che, per ovvie ragioni, erano "alla turca".
Qualche Pistolesano non si prese troppa "gena" (mortificazione nel portarli) e disinvoltamente utilizzò tali abiti. 
La cosa divenne prestamente abituale per molti e per gli abitanti dei comuni contermini coniare lo stranome fu proprio solo un gioco da ragazzi.

Misure di superficie


Misure piemunteise per Travaj



.... na vira ieru Giuvu ....
Mosso S. Maria anni 40

Mosso con prati tagliati ...... c'erano le mucche

Bielmonte ..... anni 60 ..... gare di sci .... che ricordi.

Vallemosso, arrivo trenino, sulla sx edicola attuale (2013). Sullo sfondo si vede frazione Boschi e la Chiesetta. Senza viadotto.
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Articolo ricavata dall'Espresso n. 11 anno LIX - del 21 marzo 2013 -
Lezioni di stile - Un'industria tessile solida. E una tradizione della confezione unica al mondo. Il made in Italy affonda le radici nelle aziende tra Lombardia e Piemonte. Che ora cambiano pelle per reagire alla crisi. E guardano al futuro con strategie e ricette diverse.


La gente non sa quello che vuole finché non glielo si mostra (Steve Jobs)

Curgin = lacci per le scarpe in cuoio quadrati
Starnighin (cjülìn) = Selciatore









L'an-cà da fé (La casa del fuoco) L'antica cucina biellese tratto dal libro di Tavo Burat e Giorgio Lozia Editore Giancarlo De Alessi















La preparazione della quajà per la toma nel parèl appeso al torn. Da notare la tipica camicia dei marghé, confezionata con differenti "fazzoletti" del campionario di tessuti.
(foto tratta dal Libro sopra citato)
La battitura delle castagne a Bagneri, 1959 (archivio J. Calleri)