Titolo
Un aiuto per San Bernardo delle Alpi
L’oratorio di San Bernardo ai Boschi è situato in bellissima posizione a quasi 800 metri d’altezza ed è l’unico della zona ad essere dedicato al Santo delle Alpi, assieme al conosciuto Santuario posto su una delle vette del Monte Rubello, nell’Oasi Zegna sopra Trivero in provincia di Biella.
Patrono di Valdilana e delle Alpi
L’iniziativa si lega ad un importante anniversario, il millenario dalla nascita di San Bernardo, che da un paio di anni è ufficialmente il patrono del nuovo comune di Valdilana, nato nel 2019 dalla fusione di Mosso, Soprana, Trivero e Valle Mosso.
In realtà il millenario della nascita cadeva nel 2020, ma causa pandemia sono state rinviate tutte le manifestazioni a riguardo. Su alcuni libri e sui calendari leggiamo “S. Bernardo da Mentone”, mentre su altre fonti troviamo “S. Bernardo da Aosta”. Sono la stessa persona. Il Mentone in oggetto non è la famosa cittadina della Costa Azzurra al confine con l’Italia, ma un piccolo comune turistico dell’Alta Savoia, sulla costa orientale del lago di Annecy, ancora oggi chiamato Menthon-Saint-Bernard. A far chiarezza su questo ci pensò Pio IX, al secolo Achille Ratti, il papa alpinista che nel 1923 elevò Bernardo all’onore degli altari con l’appellativo di “Santo delle Alpi”, patrono anche degli alpinisti e dei viaggiatori, e con l’indicazione di festeggiarlo il 15 giugno.
Le reliquie di Novara
Gli studi di un secolo fa lo fanno meritoriamente nascere da una nobile famiglia valdostana e avviato alla carriera ecclesiastica. Divenne poi un efficace predicatore, in continuo peregrinare sulle montagne, non solo valdostane, ma anche valsesiane e novaresi. Nell’iconografia ufficiale viene rappresentato con il diavolo incatenato ai suoi piedi e talvolta con il bastone o bordone da pellegrino, utile anche sui passi e ghiacciai alpini.
San Bernardo da Aosta muore a Novara nel 1081 e là venne sepolto il 15 giugno, giorno della sua festa. Le spoglie, venerate come reliquie, si trovano in un altare laterale del Duomo novarese. Chiaramente le sue tracce sono evidenti tra le montagne valdostane: l’ospizio al passo del Gran San Bernardo, a 2473 metri, è considerato il più alto monastero delle Alpi.
I Cammini di San Carlo e di San Bernardo
Anche l’Ospizio al passo del Sempione ha la stessa dedicazione e da quel punto parte il Cammino di San Bernardo d’Aosta, che dal Sempione in nove tappe raggiunge Novara. Questo itinerario storico e devozionale è stato ideato nel 2017 dall’associazione Amici di Santiago di Novara, che quest’anno celebrerà il millenario della nascita del santo, manifestazione forzatamente rinviata nel 2020. Il Cammino di San Bernardo incrocia a Orta il Cammino di San Carlo, ideato nel 2010, che da Arona raggiunge Oropa e poi prosegue verso Viverone per collegarsi con la Via Francigena. Grazie alla collaborazione tra le associazioni e le persone che promuovono questi cammini, gli amici di Novara verranno in pellegrinaggio anche alla chiesetta di San Bernardo ai Boschi, dove passa la sesta tappa del Cammino di San Carlo, che dal Santuario della Brughiera raggiunge Pettinengo.
Al di là delle Alpi
San Bernardo ai Boschi è anche lo scenario di una storia straordinaria, raccontata due anni fa nello spettacolo “Al di là delle Alpi” ideato da Flavia Grosso e realizzato dall’associazione Atelier di Ponzone Biellese. Federico Strobino, ufficiale dell’Esercito Regio di origine mossese, nel 1943 portò in salvo 400 ebrei attraverso le Alpi, partendo dalla vicina Francia. Alcuni di questi esuli troveranno proprio ai Boschi di Pistolesa il loro rifugio più sicuro e da quella storia vera è nata una bellissima vicenda di solidarietà e di amicizia.
Un impegnativo restauro
L’opera d’arte in corso di restauro e per la quale si chiede un aiuto è proprio una tela presente sopra l’altare ligneo della chiesetta dei Boschi, costruita nel 1825. La tela raffigura San Bernardo, con la veste bianca dei benedettini con il demonio alla catena e lo sguardo è rivolto verso apparizione della Madonna con il Bambino sulle ginocchia, seduta in una corona di nuvole e cherubini. A destra è raffigurato San Grato con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, con la mano destra benedicente e il pastorale alla sinistra.
La tela si trova attualmente nel laboratorio di restauro di Tiziana Carbonati, che ha già iniziato il lavoro sull’opera, piuttosto ammalorata, anche per una pesante ridipintura effettuata nel 1965. L’intervento è stato autorizzato dal MIC Sabap-No ed il funzionario dott. Andrea Quecchia segue i lavori. La restauratrice, ben conosciuta dalle nostre parti per i molti restauri eseguiti per conto del DocBi, sta lavorando in collaborazione con le restauratrici Sara Barchietto e Michela Lotterio. L’intento è quello di riportare alla luce un probabile dipinto originale, certamente più interessante, in quanto il quadro era con tutta probabilità già presente nella chiesa parrocchiale di Mosso, in seguito donato ai Boschi per arricchire quella nuova chiesa.
L’operazione di restauro è possibile grazie alla richiesta di contributo fatta alle fondazioni locali da don Carlo Rovagnati, parroco di Mosso, a nome degli abitanti e parrocchiani dei Boschi e di Pistolesa, che hanno a cuore la bella chiesetta di San Bernardo. La Fondazione CRB (Cassa di Risparmio di Biella) e la Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) hanno risposto positivamente, garantendo oltre la metà del necessario. Altri contributi sono arrivati grazie alle iniziative organizzate dall’associazione ricreativa Ai Boschi e in particolare per il prezioso impegno della signora Maura Bonaso. Purtroppo la sua prematura scomparsa non gli permetterà di vedere realizzato il suo sogno e - d’accordo con il marito Antonio e i figli - si è pensato di organizzare in suo ricordo una sottoscrizione via internet per completare il restauro.
Chi vorrà partecipare, anche con una minima somma (bastano 5 euro), avrà la simbolica ricompensa di vedere il proprio nome sulla bacheca che verrà posta all’esterno dell’oratorio e di poter ritirare un omaggio floreale durante la manifestazione che verrà organizzata per la presentazione dell’opera. In totale serve una piccola somma, meno di duemila euro, ma vuole essere un significativo esempio di partecipazione collettiva a favore della bellezza dei nostri paesi.
aiuto per la Chiesetta ai Boschi di San Bernardo (Barnard)
Grazie a Franco Grosso per la splendida ricerca effettuata il 23 novembre 2020:
Napoleone, conquistata mezza Italia, mandò i suoi migliori cartografi a rilevare in dettaglio i territori sottomessi, allo scopo di conoscere il valore economico di ognuno. Per questo, oltre alle borgate (hameau) e alle cascine (farme), nella bellissima carta si trovano contornati e indicati in francese tutte le diverse destinazioni d’uso del terreno. Troviamo il castagneto (chataigne…), il vigneto (vignes), il pascolo (paturage) e il prato (pre). Indicati pure le terre arabili, quelle incolte e i boschi da legno (bois).
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il VASCAPUN = mantello vegetale usato dai pastori di pianura, che però d'estate salgono in montagna.
https://www.raiplay.it/video/2020/09/Geo-1be48851-a1d9-4457-93bd-f488ade068ca.html
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Il telefono con disco combinatore ed i ragazzi di oggi -
1 maggio 2020 - con Festa del 1 Maggio in casa
al di là delle alpi - Yabriska / Mario
https://www.facebook.com/atelier.laboratoriodellebuoneidee/videos/583915015486686/
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Mio piccolo filmato su YouTube klicca sulla scritta
Le Castagne - Castgne - Novembre 2019
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I Marghè - Allevatori di mucche in montagna, mia madre Garbaccio Laura classe 1909 con suo padre Giuseppe e tutta la famiglia, facevano questa vista all'Alpe della "Gnargnega" Artiniaga dopo il Bocchetto Sessera ed in inverno facevano la trasumanza in Pianura a Vigliano Biellese.
Clicca sulla scritta per vedere una bel filmato che racconta questa vita.
Alluvione nel biellese (2-11-1968) raccontata dal Prof.Sella Ciaffrei Mario Sindaco di Mosso S. Maria in quel momento.
Fu mio Preside e professore alle scuole superiori di Mosso, allora si chiamavano: Avviamento 3 anni e poi Scuole Tecniche per due anni.
Nel periodo in cui ero sindaco in mattinata e nel pomeriggio caddero le prime frane ed io, che ero sceso a Biella per assolvere ai miei doveri di ufficio, fui costretto a provare diversi itinerari prima di individuare quello che mi portò a Mosso
Nel pomeriggio il cielo era di un livido colore verde e sembrava che tutti i temporali autunnali si fossero dati convegno nella valle.
Alle 18 era già buio pesto ed avendo inteso un forte boato vidi che era franato il prato davanti casa mia nell’intersezione con la strada di Oretto e l’acqua che scendeva da tale strada, con una cascata ricadeva in Via Quintino Sella formando un impetuoso torrente diretto verso la Chiesa ed il Municipio. L’energia elettrica, a causa delle numerose frane, cessò e in quasi tutte le case vennero accesi i lumini acquistati per adornare le tombe in occasione della processione al cimitero prevista per il giorno successivo.
Io avrei voluto raggiungere il Municipio ma non possedendo stivali ed avendo a disposizione soltanto una pila di tipo lucciola che illuminava si e no un metro davanti a me, decisi di attendere un miglioramento del tempo. Verso sera si verificò un rallentamento nella caduta della pioggia, tentai di scendere in comune, ma dopo pochi passi mi sentii afferrare per il collo. Era un filo dell’illuminazione pubblica che si era staccato dal palo. Ritornai quindi in casa e decisi di attendere le prime luci dell’alba.
L’indomani scesi in piazza dove incontrai il Comandante della Stazione dei Carabinieri Brigadiere Mattia e tentammo di comunicare al mondo quanto era successo nella Valle con un piccolo trasmettitore a pile prestato da un radioamatore. Riuscimmo a collegarci con una persona residente a Voghera pregandola di comunicare ai Carabinieri della sua città quanto si era verificato nella nostra zona. La persona, temendo trattarsi di uno scherzo era molto perplessa e non promise nulla. Fummo costretti a interrompere il collegamento in quanto le pile si erano esaurite. Cambiate le pile riuscimmo finalmente a comunicare con Biella che immediatamente predispose i primi interventi.
Nel 1968 non esisteva il servizio di protezione civile e molte soluzioni attuate a Biella furono successivamente utilizzate su scala nazionale per organizzarlo.
Incominciarono ad affluire i primi soccorsi con offerte della popolazione locale e dal comune di Biella, a mezzo di un elicottero che atterrava su un prato di fronte al Lanificio Ormezzano, e con l’aiuto di validi collaboratori organizzammo un primo sistema di pronto intervento, Il Brigadiere Mattia ed il vice-sindaco Sig. Mario Bedotto con alcuni volontari e con l’aiuto della ditta Strobino provvidero al ricupero delle salme delle povere vittime ed alla loro sistemazione nelle bare ed, in mancanza di ruspe, utilizzando le pale riuscirono a creare dei varchi a fianco delle numerose frane per consentire il passaggio almeno ai pedoni e per facilitare il trasporto delle bare. Utilizzando l’elicottero furono trasportati in ospedale oppure a Mosso i feriti per prestar loro le prime cure. Per provvedere alla sistemazione degli sfollati furono invitati i cittadini a mettere a disposizione gli alloggi o le camere vuote segnalandoli alla segreteria del comune o al Vice-parroco Don Barbera.
Per facilitare i controlli e rendere più razionale l’opera di assistenza e di aiuto alla popolazione chiesi ed ottenni la collaborazione di numerose persone e mi scuso se non potrò ricordarle tutte. Anche il giornale La Stampa inviò un consistente contributo in denaro per poter assistere i danneggiati. Nelle ore serali formammo un gruppo di lavoro composto dal Vice-sindaco, dal Vicario Don Adriano Motta, dall’Ufficiale sanitario Dr. Franco Cassardo, dal Brigadiere Mattia, dal Segretario comunale Rag. Raffaele Correale e da alcuni Consiglieri comunali e, sotto la mia presidenza stabilimmo i criteri da seguire nella concessione dei sussidi ai cittadini danneggiati sia direttamente che indirettamente dall’alluvione. In base a tali criteri, con l’aiuto degli impiegati comunali furono predisposti gli elenchi delle famiglie da assistere.
Il pagamento dei sussidi in denaro fu affidato al Giudice Conciliatore Sig. Leanza che assolse con molto scrupolo e precisione alle sue mansioni.
La consegna dei pacchi viveri fu, invece, affidata a un gruppo di Signore e Signorine coordinato dalla Prof.ssa Emilia Bertola e funzionante nella sala del Consiglio Comunale. Per venire incontro alle necessità delle persone anziane o impossibilitate a muoversi i Consiglieri Comunali Sig. Mario Grosso e Sig. Pio Garbaccio Valina provvidero a recapitare i pacchi a domicilio.
La gestione dell’altro materiale (pale, stivali, coperte, tubi per l’acqua, ecc.) custodito in Municipio fu, invece, affidata al Vice-sindaco con la collaborazione del Sig. Adriano Tonso e del Sig. Ilio Grosso.
Io, dopo aver organizzato il lavoro di primo intervento fui costretto a rimanere in ufficio dove con la valida collaborazione del Rag. Correale tentai di risolvere i numerosi problemi presentati da un flusso continuo di persone.
Per risollevare il morale della popolazione fu ripristinato il vecchio forno a legna della Cooperativa e nella notte fu impastato il pane alla luce dei fari di una macchina e successivamente infornato ottenendo un ottimo prodotto ed anche da qualche comune vicino vennero ad acquistare il pane a Mosso.
Intanto la Prefettura di Vercelli assegnò i fondi per il pronto intervento e gli uffici del Genio Civile incaricarono alcune ditte di effettuare i lavori necessari per ripristinare la viabilità. Sulle strade principali vi era una frana in media ogni dieci metri e l’unica strada rimasta indenne era quella che passando da Borgata Ormezzano scendeva a Vallemosso. Anche i ponti erano tutti fuori uso ed il Genio Militare gettò un ponte fra Mosso e Crocemosso. Nel mio ufficio vi era sempre qualcuno che aveva dei problemi da presentare, e quando vennero a Mosso il Prefetto o il Colonnello comandante i Carabinieri della provincia, fummo costretti a spostarci nel locale antigabinetto per poter parlare liberamente di problemi riservati. Un momento difficile da superare si ebbe quando le Autorità Superiori messe in allarme dai geologi stabilirono che il vicino Comune di Pistolesa era gravemente in pericolo perché erano possibili altre frane e ne ordinarono l’evacuazione. Per predisporla in gran segreto io, il Segretario comunale ed i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri ci riunimmo a tarda sera in un bar di Mosso. Tenuto conto del fatto che parecchi abitanti di Pistolesa già si erano sistemati presso parenti o nei locali messi a disposizione dai Mossesi, si ritenne opportuno chiedere l’autorizzazione a occupare i locali in località Frieri di proprietà di un ente di Vercelli (forse l’ECA) che li utilizzava soltanto durante l’estate per le colonie estive dei bambini, autorizzazione che fu concessa. Per rendere possibile l’evacuazione e per garantire la popolazione sfollata contro i casi di sciacallaggio, l’Arma dei Carabinieri mise a disposizione una cinquantina di Militi che in un primo tempo aiutarono gli abitanti a sfollare e successivamente furono adibiti al controllo delle case rimaste vuote. I militari dell’Arma durante i periodi di riposo furono ospitati nei locali predisposti dal comune di Mosso per l’inizio dell’attività dell’Istituto Tecnico, locali in parte adibiti anche per accogliere gli sfollati di Pistolesa.
La palestra delle Scuole Elementari fu, invece, utilizzata per ospitare i militari dei Cavalleggeri di Lodi comandati dal Capitano Arrigoni accorsi da Lenta per aiutare le popolazioni di Vallemosso e di Pistolesa a sgomberare le case pericolanti e per rimuovere le macerie.
Molti ricordi mi ritornano alla mente, ma uno mi è rimasto impresso e riguarda l’intervento che mi fu richiesto dai Salumifici di proprietà dei Signori Bocchio e Sella per salvare ottanta quintali di carne in lavorazione. Per risolvere il problema il Lanificio Ormezzano mise a disposizione un generatore di energia elettrica da loro utilizzato in tempo di guerra e dal Centro di soccorso di Biella ci fu inviato un notevole quantitativo di cavo elettrico che l’elettricista sig. Piero Fila Robattino con l’aiuto di alcuni volontari utilizzò per collegare il generatore ai salumifici. Nei momenti di pausa l’energia fu utilizzata per il forno del pane. Passato il primo periodo di crisi venne a Biella il Presidente del Consiglio On. Leone che alla presenza delle principali autorità provinciali e locali convocò i Sindaci dei comuni alluvionati presso il Municipio di Biella per un primo esame della situazione e per predisporre in concreto un piano per risolvere il grave problema dell’industria tessile i cui stabilimenti erano stati distrutti dall’impeto delle acque o erano stati invasi dal fango e dalla melma rendendo inservibili i macchinari e per ricostruire le fognature, i ponti, le strade e gli edifici danneggiati.
Non appena ripristinata la viabilità ordinaria il Presidente della Repubblica On. Saragat accompagnato dall’On. Scalfaro e dal Prefetto di Vercelli visitò le zone alluvionate per rendersi conto personalmente della situazione e per avere un contatto diretto con le popolazioni.
Per poter intervenire rapidamente nell’opera di ripristino dei beni danneggiati i Sindaci dei comuni alluvionati chiesero al Provveditorato Generale delle Opere pubbliche per il Piemonte l’autorizzazione a far preparare da tecnici di fiducia i necessari progetti da cedere poi al Genio Civile che, in caso contrario, non avrebbe avuto la possibilità di provvedere direttamente per mancanza di personale. Fu altresì richiesta l’autorizzazione a preparare i Piani di ricostruzione. Entrambe le autorizzazioni furono concesse facendo notevolmente ridurre i tempi di attesa prima dell’inizio dei lavori.
Il ricordo che maggiormente mi è rimasto impresso è la presenza di uno spirito di solidarietà da parte di tutta la popolazione che ha consentito di superare lo sconforto dovuto all’immensità ed alla gravità dei danni sofferti.
Un particolare ringraziamento rivolgo ancora alla Regione Autonoma della Valle di Aosta che mandò una piccola ma molto efficiente squadra attrezzata per aiutarci a rendere agibile una strada disastrata da noi scelta. Ringrazio ancora la Società Dalmine che donò al comune un camion di tubi per riparare o sostituire i tubi dell’acquedotto e le Acciaierie di Bolzano per l’utilissima motosega donata.
Un grazie sentito rivolgo al Giornale La Stampa che grazie a Specchio dei tempi intervenne immediatamente con un cospicuo aiuto.
Ringrazio a nome di tutta la cittadinanza il Comitato per i soccorsi di Biella sempre pronto a concederci quanto richiesto.
Un grazie sentito anche agli studenti ed a tutti coloro che hanno aiutato a spalare per rendere più agibili le strade o per eliminare il fango che aveva invaso gli stabilimenti e le case. E che hanno collaborato con il Sig. Boccalatte e gli altri idraulici per ripristinare o riparare le condutture dell’acqua potabile.
Un ricordo particolare per il Sig. Prefetto di Vercelli che con nobile gesto è salito nel Natale successivo per ringraziarci e per porgere fervidi auguri ricambiati da noi con cuore. Grazie anche alla Famija Piemunteisa che è venuta con Gianduia a farci visita per incoraggiarci a ben continuare.
Concludo con un grande elogio alla popolazione di Mosso ed a tutte le autorità civili, religiose e militari che con abnegazione e spirito di sacrificio collaborarono con me durante l’alluvione e successivamente.
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Il gioco dell'orso, antico gioco praticato a Rosazza.
https://www.youtube.com/watch?v=HUqWlIpYDR0
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Impalmatura di un cavo di acciaio, mio padre lo sapeva fare ed alcune volte lo aiutai, lavoro antico o forse anche moderno
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Leggendo “Il canto delle manére” Di Mauro Corona, mi sono venuti in mente i seguenti ricordi :Storia delle Coulisse.…… durante le vacanze di Natale, con delle temperature gelide verso le ore 9,00 del mattino andavo a piedi, mi ricordo al torrente Poala, ora sopra ci passa il viadotto Colossus, ma in fondo vicino alla frazione Caudana c’è il ponte vecchio molto piccolo e li avanti sulla destra guardando la montagna avevamo ed abbiamo un bosco di faggi e castagni e mio padre “faceva il bosco” per vendere la legna e per utilizzarla anche noi, lavora con suo fratello Giuseppe (Pipin), papà di Piero Strobino.Quindi andavo da mio padre passando per un sentiero alto che partiva dai Boschi ed arrivava sul quel terreno sopra al torrente Poala, i suoi confini arrivanavo fino a lembire il torrente.Loro erano già diverse ore che lavoravano ed avevano iniziato ad esaurire le “coulisse” che era finite in fondo al tratto della teleferica utilizzate per far “scorrere” fasci di legna.Salutavo mio padre, mi dava un sacchetto di tela juta molto pesante ed iniziavo la discesa verso il fondo valle dove terminava la teleferica.Attraversavo il torrente Poala, ghiacciato facendo attenzione di non cadere e di non bagnarmi i piedi, saltellavo sul alcuni sassi apposta messi ed utilizzati per facilitare il passaggio.Arrivano da mio zio Pepin e lo salutavo e lui mi diceva di aspettare un momento che mi avrebbe messo nel sacchetto di tela juta le coulisse.Io avevo circa 12/13 anni e mi chiedeva quante era in grado di portarne io dicevo, ma 13/14, ma a volte riuscivo a portarne anche 16 e mi sentivo tutto orgoglioso. (una coulisse pesa circa 500/800 gr)Mi caricavo il sacchetto su una spalla che pesava circa 12/15 kg e risalivo a monte dove partiva la teleferica impiegando circa un ora di cammino.Se ero bravo nella mattinata facevo anche due o tre giri, dopo di che arrivava mezzogiorno e si faceva una pausa mangiando con mio padre un pasto fugace e molte volte a base di pane ed acciughe imbevute nell’olio e messe in mezzo al panino.Se faceva molto freddo mio padre accendeva un piccolo fuoco per riscaldarci e se ne aveva il tempo si appisolava per 5 minuti vicino ad esso. Io nel frattempo andavo a fare un giro sulle sponde del torrente Poala a controllare se vedevo qualche trota stando molto attendo di non scivolare e di non cadere dentro a qualche “lama” (pozza di acqua abbastanza grande e profonda).Quando le coluisse arrivavano in fondo alla teleferica “battuta” si doveva fare attenzione nel prenderle, mai per la testa ,in quanto scottavano per la lunga frizione che avevano avuto correndo lungo il filo della teleferica.La battuta era costituita da 4 pali di castagno incrociati a cavalletto ed interrati a terra in un buco profondo almeno un metro. Dietro c’era un “turnin” che era un tronco di albero rinforzato con lamelle di legno in modo che seccando non si aprisse. Il turnin serviva a tendere il filo della teleferica passando il cavo attorno ad esso e facendolo girare con delle barre di legno lunghe almeno due metri che venivano fatte passare in appositi fori quadrati fatti alle estremità del turnin; erano 4 per ogni lato e messi in modo sfalsati.Tirare il filo della teleferica era un lavoro pericoloso e io se li aiutavo dove stare a debita distanza.Con le barre infilate nei fori facevano girare il turnin di un quarto di giro alla volta e quando il cavo era teso si fermvano ed io inserivo di traverso alle barre un pezzo di legno che adagiandosi contro i pali interrrati evitava al turnin di girare indietro e di mantenere il filo della teleferica teso.C’è da dire che prima di tendere il filo della teleferica infilavo nel cavo una gomma di autocarro in modo che i fasci di legna di legna agganciati alle coulise quando arrivavano in fondo alla “battuta” attutissero il colpo; mettevano anche una catasta di legni agganciata con delle corde metalliche in modo da aiutare l’urto.Si doveva restare a debita distanza perché a volte succedeva che nell’urto volassero pezzi di legno in ogni parte e se di prendevano erano dolori.Per fare pausa o riprendere il lavoro c’erano dei segnali che si ottenevano battendo il filo della teleferica che correva lungo il cavo.Due colpi abbiamo finito di lavorare ed andiamo a casa e chi riceveva il segnale rispondeva allo stesso modo con due colpi; questo perché a volte la partenza e l’arrivo erano molto distanti, magari km e a voce non ci si poteva sentire.Con il passare degli anni i due fratelli si erano organizzati diversamente e io non andavo più a portare le coulisse, ma iniziavo ad aiutarli a “fare legna” ed iniziavano a lasciarmi a sramare gli alberi e a segarli in pezzi lunghi circa 80 cm. Utilizzando lo “strabicun (sega ad arco) e la fauscetta (roncola da boscaiolo) stando attendo a non tagliarmi. (questa è un’altra storia che alla prima occasione racconterò).Provavo a tagliare qualche albero con la “sciu” (ascia con il manico lungo). E’ molto difficile tagliare un albero con la scure, se non sei abituato tagli si la pianta, ma il taglio è tutto a scalini.Loro, i fratelli, lasciavano il “scucc” (il ciocco che rimane una volta che hai tagliato l’albero) liscio e rasato come se lo avessero segato.Non ho mai capito perché non utilizzavano la sega per tagliare le piante, ma dicevano che non si poteva perché le piante non sarebbero ricresciute bene e forti.Con l’avvento delle motoseghe tutto questo è terminato ed il rumore del tic toc del taglio con la scure nei boschi non si sente più.Ricordo mio padre quando acquistò la prima motosega, una McCulloch, cose da fantascienza, (bellissima gialla) oltre che per il prezzo che l’aveva pagata, il lavoro che poteva fare, aveva un peso enorme (rispetto alle attuali) e mio padre a volte me la lasciava provare con dei tagli facili, ma avevo ornai già sui 17/18 anni.Torniamo alle coulisse.Mio padre aveva costruito un argano a mano (che conservo ancora nella casa ai Boschi) con un verricello di legno montato su un semplice cavalletto pieghevole facilmente trasportabile a spalla. Sul “rocchetto” dell’argano era avvolta una cordina di acciaio da 3 - 4 mm abbastanza file e lunga sicuramente 3 – 4 Km. Si portavano l’attrezzatura alla partenza della teleferica e quando le coulisse erano finite calavano lungo il filo della teleferica un carrello di legno con le ruote rotonde che veniva fatto scendere a valle frenandolo con un semplice freno costituito da un ferro flessibile stretto con una leva di legno al verricello.Il carrello quando raggiungeva la stazione di valle il fratello batteva un colpo sul filo della teleferica e quello era il segnale che il carrello era arrivato in fondo e che lo stava caricando. Finito di caricarlo, altro colpo al filo, segnale che era pronto e si poteva iniziare a farlo salire. Caricavano 4 volte quello che io portavo a spalla circa 50 coulisse, più tutte le corde di acciaio che servivano a legare i fasci di legna. Per farlo salire si iniziava ad avvolgere il cavo al rocchetto facendolo girare con due manovelle a mano con una bella fatica e facendo attenzione di avvolgere bene il cavetto di acciaio senza mai ingarbugliarlo.Questo sistema aveva il vantaggio che si faceva prima a recuperare le coulisse e se ne portava molte di più. Ci si metteva 30/40 minuti per fare un percorso che a piedi ci avresti messo due ore; lo svantaggio era che non potevi utilizzare la teleferica per far scendere fasci di legna e chi stava a valle restava inoperoso attendendo che il carrello avesse raggiunto la stazione di partenza per il riprendere il ciclo dei fasci di legna e delle coulisse di vai e vieni.Chi era a valle non restava proprio inoperoso perché doveva sistemare tutta la legna che era scesa accatastandola molto bene in attesa che arrivasse un camion per poterla caricare e portarla a casa oppure venderla.Scritto da Silvano Strobino il 20 aprile 2016.
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